Sabrina:
Sono passati cinque giorni da quando mi ha cacciata via di casa dopo averle chiesto di dimenticare tutto quello che era successo.
In questi giorni non l'ho cercata, non ne ho avuto il coraggio.
Poi penso che questi giorni sia serviti sia a me che a lei, per riflettere.
Ma i giorni passano ed è come se il tempo si fosse fermato.
Non ho mai smesso di pensare a lei.
Ogni mattina, mi sveglio con il suo viso impresso nella mia mente.
Ogni cosa mi ricorda lei: il profumo del caffè al mattino, le caramelle, le scarpe da ginnastiche che lei ama tanto e che io invece non sopporto.
Anche in strada mi è capitato spesso di rimanere a guardare in vetrina esposti, dei tailleur che amo tanto il modo in cui stanno bene addosso a lei.
Mi succedeva spesso di intravedere delle donne con dei capelli corti e biondi ed io scioccamente pensavo fosse lei.
Nonostante sapessi che lei si trovava chiusa sicuramente tra le mura del suo ufficio, la mia mente mi tradiva.
Ogni volta che una di loro si voltava, il cuore mi sprofondava nello stesso instante in cui capivo che non era lei.
E ogni volta, quella delusione mi lasciava più vuota di prima.
Forse era soltanto la mia speranza a farmi credere di poterla incontrare nonostante sapessi che era a lavoro.
Mi rendo conto di quanto sia stato stupido cercare di allontanarla, come se bastasse mettere distanza tra di noi per proteggermi dalla paura che provo.
Ogni notte, ripenso a quella scena, a quando avrei voluto restare, a quanto avrei voluto chiederle scusa ma la mia paura mi ha paralizzata, mi ha fatto credere che allontanarmi fosse la soluzione.
Adesso capisco che che è stato solo un tentativo maldestro di proteggermi da qualcosa che già mi apparteneva; lei.
Mi manca e questa mancanza non è solo un ricordo o un'abitudine.
È una mancanza profonda, radicata, come un pezzo di me che non riesco più a trovare.
Adesso sono qui a casa mia, seduta davanti la specchiera che cerco di prepararmi per questa festa di compleanno a cui devo andare.
Mi guardo allo specchio, osservo il mio viso e provo vergogna ripensando a quello che ho fatto.
Dopo aver fatto la base del trucco, applico un po' di matita nera sugli occhi, un po' di mascara e per le labbra soltanto un lucido.
Non mi va di truccarmi più di tanto, non mi va di fare un cazzo.
Dopo essermi truccata sistemo un po' i miei capelli perché tanto già so' vestita.
Indosso un vestito nero che arriva fino al ginocchio, aderente al punto giusto, con le maniche lunghe che mi avvolgono come una seconda pelle.
I piccoli brillantini che ricoprono il tessuto catturano la luce, scintillando ad ogni mio movimento.
Ai piedi porto un paio di scarpe rosse dal tacco sottile, che spiccano in contrasto con il nero del vestito.
Porto con me una piccola borsa nera, abbinata al vestito.
È semplice e raffinata, con una chiusura dorata che aggiunge un tocco di eleganza.
Mi alzo dalla specchiera, sono pronta.
Una notifica mi distrae mentre osservo il mio riflesso nello specchio, è lui.
< Sabrina sono giù > mi ha scritto.
Prendo la borsa di mia malavoglia, saluto Jackie e Sole e mi dirigo verso l'ingresso per uscire e raggiungerlo, quando in realtà adesso vorrei soltanto dormire e spegnere il cervello per un po' come ho fatto in questi giorni.
Apro la portiera e salgo in macchina con lui che mi osserva.
È solo un passaggio per il compleanno di sua sorella, niente di più.
Mi metto comoda, sistemandomi il vestito e aspettando che parta.
"Se vuoi puoi accendere la radio"
"Non voglio"
"Proprio felice di andare a questo compleanno eh" mi chiede iniziando ad infastidirmi.
"Non comincià che me scoppia a testa, prima arrivamo e prima annamo via" metto le cose in chiaro, infatti si ammutolisce e non dice più una parola.Il ristorante si trova in una piccola via nel cuore di Roma, lontano dal caos turistico.
All'esterno piccoli tavoli in ferro battuto decorati con candele e fiori freschi, ideale per chi vorrebbe gustarsi la cena sotto le stelle.
All'interno, il ristorante è accogliente con luci soffuse e l'arredamento tradizionale si mescola alla modernità.
"Buonasera signori" ci accoglie subito un cameriere.
"Buonasera" risponde lui, io vorrei solamente scappare da questo posto e andare a casa mia.
"Seguitemi, la festa è al piano di sopra" seguiamo il cameriere che conduce fino alla sala in cui si terra il compleanno.
"Sabrina!" mi abbraccia sua sorella.
"Ciao bella! Tanti auguri!"
"Grazie! Come stai?"
Non si può optare per un'altra domanda, no?
"Tutto bene, te?"
"Bene" mi sorride e poi viene chiamata da alcuni suoi amici.
Mentre mi guardo intorno vedo lui da lontano che si avvicina.
"Che voi?"
"Sabrina te lo ricordi che per loro, noi due siamo ancora sposati"
Mi ritrovo qui, a dover fingere ancora e ancora, indossando una maschera che ho già indossato troppe volte che però ultimamente pesa sempre di più.
Fingo per loro, per evitare domande, sguardi curiosi o peggio, giudizi.
Vorrei soltanto smettere di fingere, smettere di recitare anche fuori dal set, vorrei soltanto essere me stessa.
Devo interpretare la parte, sorridere e fare finta che tutto vada bene, come sempre.
"Purtroppo" gli rispondo, gli lancio un'occhiataccia e vado a sedermi a tavola.
Dopo un po' si siede anche lui accanto a me e uno dopo l'altro si siedono tutti gli invitati.
"Allora cosa mi dite voi due eh?" si intromette un amico.
"De che?"
Stasera sono più acida del solito, più avvelenata.
"Come state?"
"Benissimo" risponde lui, sento le sue labbra sulla mia guancia, ma io non faccio altro che pensare a lei.
"Che bello! Mi fa piacere!"
"Dai prendi posto che sta pe' arrivà a cena" cerco di distrarlo e infatti ci riesco.
"Puoi provare ad essere meno acida?" sussurra vicino al mio orecchio.
"Non ce riesco"
"Signori ecco qua" il cambiare dispone il cibo in tutto il tavolo.
Iniziamo a mangiare, così almeno mi consolo con il cibo, unica gioia della vita.
Dopo aver mangiato le casse della sala riproducono una canzone romantica, un lento.
"Sabri" mi chiama in lontananza.
"Aho?!"
"Ti va di ballare con me?"
"No non mi va me fa male la testa"
"Dai alzati"
"Ma no!"
"Ehi Sabri dai, balla con mio fratello" si intromette la sorella simpatica.
Mi alzo rassegnata, come se stessi andando al patibolo.
Prende le mie mani, una la porta sulla sua spalla, l'altra la incrocia alla sua in aria, mentre sento la sua posizionarsi sul fianco.
Mentre balliamo, anche se in realtà balla solo lui, visto che io sto ferma come un palo, ripenso a quella sera.
Ripenso a quando, dopo aver comperato le caramelle e aver parlato in quella panchina, lei si fermò mentre guidava perché dovevamo ballare la nostra canzone.
Erano dei movimenti lenti, romantici ed io mi facevo guidare dalle sue mani, dalle sue movenze eleganti che non sapevo di avere.
Ora, però, quel momento fa solo parte del passato e chissà se ci saranno più momenti come quello.
Le lacrime che ho cercato di trattenere fino a questo momento, premono forte, pronte a uscire.
"Scusa vado un attimo in bagno" allontano le sue mani da me e vado via.
Arrivata al bagno chiudo la porta dietro di me, facendo un respiro profondo, cercando di non crollare adesso, perché sarebbe la fine.
Dopo essermi un po' ripresa esco dal bagno e noto che sul tavolo c'è la torta, entusiasta che ci sia così la mangiamo, apriamo i regali e chi s'è visto s'è visto!
Cantiamo tutti insieme tanti auguri mentre la festeggiata si emoziona un po', dopodiché il cameriere inizia a tagliare il dolce e a servirlo.
Io manco lo mangio perché non ho voglia.
"Non la mangi?" chiede vedendo la mia fetta ancora intera.
"No"
"Non ti piace?"
"Aho e quante domande!"
"Dai che appena finiamo andiamo nella gelateria che c'è qui vicino e ti prendi un buon gelato, che dici?"
"Fai come vuoi"
Non mi interessa più nulla delle sue proposte, a dire il vero non mi entusiasma più nulla.
Solo quella matta sa come farmi tornare bambina e farmi emozionare davanti alla cosa più insignificante, anche se forse sono io che mi lascio andare così tanto, solo con lei.
Dopo averle dato il regalo che ovviamente a comprato lui con i suoi soldi, ovvero una borsa che di pochi spiccioli non è, usciamo dal ristorante.
"Allora ti va?" domanda prendendomi per mano.
"Che?"
"Il gelato"
"Ah sì sì" sposto la mano dalla sua per sistemarmi la borsa o meglio per interrompere quel contatto in maniera gentile.
Facciamo la strada a piedi perché tanto questa gelateria è vicina al ristorante in cui abbiamo allena finirò di cenare.
"Dammi la mano"
"Eh?"
"Dammi la mano Sabrina"
"Perché?"
"Perché c'è gente"
"Ma che me frega a me?!"
"Allora poi non lamentarti se usciranno notizie"
"Ma due persone possono esse fidanzate o sposate pure se non se tengono per mano eh...no so se o sai" rimane in silenzio, avrà capirò il fastidio che mi stava provocando.
Entriamo dentro la gelateria, due signore bionde stanno ordinando il gelato prima di noi.
Mi sofferma a guardare i gusti del gelato, così appena sarà il nostro turno saprò quale prendere, visto che ogni volta ci impiego un'eternità.
Quella voce, che conosce bene mi arriva ovattato.
Alzo il viso, è lei, davanti al bancone che ordina un gelato insieme ad una donna, anche se guardandola bene credo sia molto più giovane.
Non riesco a staccare gli occhi di dosso da lei, il cuore mi balza in gola, senza preavviso.
Resto immobile incapace di muovermi, come se avessi perso l'uso della motricità.
"Maria!" urla lui e le due si voltano, lei in particolare si volta.
Il loro sguardo si posano prima su di lui e poi su di me.
Lei mi guarda, sorpresa e qualcosa in me si agita, non ero pronta per questo incontro.
Per un istante, il mondo sembra restringersi, come se fossimo solo noi quattro in quella gelateria affollata.
Il suo sguardo incrocia il mio, e sento un tumulto di emozioni affiorare.
Lei è lì, davanti a me, così vicina, eppure mi sembra più lontana che mai.
"Ciao" ricambia lei in evidente imbarazzo.
"Che fai stasera non lavori?" chiede lui, ed io lo sono grata per ciò perché voglio capire chi cazzo è questa ragazza.
"Ehm sì sì certo, ho finito prima da lavoro e sono qua per un gelato" spiega senza neanche guardarmi.
Mi sento un fantasma, non mi considera proprio e l'indifferenza a volte fa più male delle parole.
"Ah ho capito e lei chi è? Buonasera" dice rivolgendosi alla ragazza.
Bravo! Bravo! Così si fa, fai tutte le domande che io non posso fare"
"Buonasera sono Michela una delle collaboratrici di Maria" interviene con una voce odiosa.
Dà la mano prima a lui e poi la indirizza verso di me.
"Sabrina che piacere conoscerti" le stringo la mano ma non dico nulla evitando di dire cose volgari.
Sposto i suoi occhi su di lei che osserva il tutto rimanendo in silenzio.
"Ma voi due non vi salutate?" domanda lui indicando me e Maria.
Stasera è in vena di farsi i cazzi di tutti.
Ci fissiamo per un attimo, poi come se nulla rosse ci salutiamo con due baci sulla guancia.
Il gesto è meccanico, sembriamo due robot che compiono le azioni che qualcun altro sta chiedendo loro di compiere.
Eppure il contatto con la sua pelle mi fa scattare dentro qualcosa.
Mentre sfioro il suo viso con la mia guancia, sento il suo profumo; quel profumo che quel giorno si è sparso lungo tutto il mio corpo e che adesso bramo in una maniera indescrivibile, mi manca così tanto.
Dopo aver preso ognuno il proprio gelato, io ho preso soltanto una coppetta mini visto che mi si è chiuso completamente lo stomaco.
"Allora che dite ci sediamo insieme?"
"Si si" risponde la ragazza mentre io e lei rimaniamo in silenzio.
Ci sediamo tutti e quattro attorno al tavolo, la tensione è palpabile ed io non riesco più sopportarla.
"Scusate...non mi sento tanto bene, io vado un attimo vicino a quella pianta che c'è un pò de venticello" mi alzo velocemente dal tavolo per raggiungere il luogo che si trova a pochi passi e inizio a camminare.
"Maria vacci tu, ultimamente non sta bene, è parecchio turbata" lo sento pronunciare.
Arrivata, cerco di respirare profondamente, di fare dei bei respiri.
Sento i suoi passi raggiungermi, potrei riconoscere il suo modo di camminare anche girata, anche ad occhi chiusi.
È vicino a me, in silenzio, che mi osserva.
"Chi è quella?" le chiedo non potendo più aspettare.
"Cos'è mi stai interrogando?" mi chiede incrociando le braccia.
"È la tua ragazza?" sbotto.
"Non sono affari tuoi"
Questa sua risposta mia fa agitare parecchio.
"Maria...chi è?!"
"Ma che vuoi?! Io e te non siamo più niente e non deve interessarti più un cazzo della mia vita!" urla, fortunatamente questo è un posto un po' più appartato.
"Che schifo fino a cinque giorni fa eri persa di me...adesso guardati stai co' quella lì, mi viene il vomito" faccio per andarmene ma mi trattiene prendendomi dal braccio.
"Non parlarmi così perché non sei nelle condizioni di poterlo fare e lo sai!" dice ciò a pochi centimetri dal mio viso.
"Lasciami che me fai schifo te e quella pure" cerco di dimenarmi ma sposta le due mani sulle mie spalle per tenermi ferma al muro.
"Va bene! Adesso ti spiegherò chi tra le due fa schifo. Quella ragazza lì è una delle mie collaboratrici, non si vede mai in giro perché lavora in ufficio insieme agli altri alle varie registrazioni, ariani sta sempre chiusa in ufficio. Stamattina il padre è stato ricoverato in ospedale per una brutta polmonite e lei è voluta rimanere lì anche se io le dicevo di andar via...stasera dopo che abbiamo finito tutto l'ho portata a mangiare del gelato per svagarsi un po', tutto qui. Adesso chi è che fa schifo?..."
Mi sento umiliata dal racconto, così sposto lo sguardo sulla strada per non guardarla.
"Guardami!" non lo faccio.
Prende il mio mento tra le sue mani per costringerla a guardarla.
"Chi è che fa schifo io che ho portato questa ragazza a mangiare il gelato o tu che hai insinuato una cosa del genere? Ma tanto ormai non mi stupisco più di niente...a volte ci resto male di come ti perdi in un bicchier d'acqua, come ti lasci andare così, diventando completamente un'altra persona" dice tutto ciò tornando dagli altri, lasciandomi lì ferma a piangere per il mio comportamento, per tutto.
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Lei, la tua ragione il tuo perché
FanfictionS: Credo che sia l'unica neanche mio padre ha questo potere, non riesco a dire di no a Maria! Quindi è l'unico tassello dove potrebbe succedere di tutto, potrei fare qualsiasi cosa per lei quindi questo è pericoloso, ho un debole proprio ma l'ho det...