Capitolo 5

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Quando tornai in ufficio, nel pomeriggio, i miei timori trovarono rapidamente conferma.

<<Niente da fare?>> gli chiesi, prima ancora che lui potesse dire nulla.

<<Ho formulato varie ipotesi. Ma tutte troppo improbabili nella loro realizzazione.>>

<<E se chiedessimo più tempo ad Annette?>>
<<Non è detto che ce lo concederebbe, ma soprattutto non è detto che avremmo successo. Cinquecentomila dollari non sono noccioline e sai benissimo quanto le nostre ordinazioni siano in calo. Rischieremmo di perdere quella che al momento è la nostra migliore possibilità di uscire puliti da questa storia..>>
<<Lo capisco>> gli risposi a malincuore, appoggiando entrambe le mani sulla mia scrivania e chinando la testa. <<Ascolta Anthony, me ne andrò un po' in officina a lavorare. Ho un paio di orsetti da finire. Magari mi aiuterà a pensare. Domani riparleremo di tutta questa storia.>>

<<Come vuoi. Io resto ancora un po' in ufficio. Buon lavoro.>>
In realtà mi misi al lavoro proprio per non pensare. Volevo isolare i miei pensieri da tutta quella storia, illudendomi per alcune ore di poterla accantonare, come fosse stato un brutto sogno.

Quando rialzai la testa mi resi conto che era sera e io ero avvolto in un bagno di sudore.
Tony non si era visto. Evidentemente aveva preferito andare a casa senza passare a interrompermi. Mi conosceva sin troppo bene per sapere quando era meglio lasciarmi perdere.
Chiusi l'ufficio e mi diressi verso casa. Avevo la morte nel cuore.
Oltre che una fonte di buoni guadagni e una soddisfazione, il lavoro era per me una passione. Ogni volta che portavo a termine una creazione, mi sentivo felice. E non potevo accettare di mandare tutto in malora.

Mi resi conto, in cuor mio, di aver già deciso.
Giunto a casa mi gettai sotto la doccia, ripensando ancora una volta a quella che appariva la nostra unica carta da giocare.
A fine aprile, poco prima che Annette saltasse fuori con il suo vile ricatto, eravamo stati contattati da un tizio, mai visto prima, che era comparso una mattina nel nostro ufficio, dal nulla.
Un uomo imponente e muscoloso, alto all'incirca un metro e novanta, vestito con abito e camicia scura. Una cicatrice gli attraversava il viso, partendo dall'orecchio sinistro e terminando sotto il mento, conferendogli un aspetto ancor più minaccioso, rispetto a quello che già incuteva la sua mole. Aveva inoltre una sorta di tatuaggio, che faceva capolino dal colletto della sua camicia.

Disse di rappresentare una persona che preferiva rimanere anonima, per conto della quale ci formulò una richiesta di tali proporzioni da lasciarci a bocca aperta, sia per la dimensione del lavoro che per il compenso che ci propose.
Nello specifico si sarebbe trattato di preparare quindici modellini di aerei della seconda guerra mondiale, tutti telecomandabili da un'unica postazione e dotati di mitragliatrici, funzionanti e mortali.

Ci sottopose una lista dettagliata con tutti i modelli da riprodurre, che spaziava dal Boeing B-17G "Flying Fortress" del Tenente Jack Thompson, al Republic P47 "Thunderbolt" del Maggiore Jack Price. Da realizzare in scala 1:15, quindi modellini la cui lunghezza sarebbe variata dai due ai tre metri, così come l'estensione alare.
Gli aerei, il cui valore commerciale, laddove non modificati, si sarebbe aggirato intorno ai trentacinquemila dollari, ci sarebbero stati pagati la bellezza di centomila dollari l'uno, purché perfettamente equipaggiati a livello di armamenti. La nostra specialità.

La proposta si rivelò tanto allettante quanto sospetta e in contrasto con il nostro consueto modus operandi.
In primo luogo dal momento che quell'uomo non ci era stato presentato da nessuno. Ci disse di essere venuto a conoscenza della nostra vera attività tramite alcune voci che gli erano giunte all'orecchio. Il che ci fece suonare un primo campanello d'allarme.
In secondo luogo, nemmeno con i più fervidi sforzi di immaginazione, avremmo potuto pensare che quegli aerei sarebbero stati utilizzati per autodifesa o per scopi ludici.
Ulteriore infrazione ai nostri principi. O perlomeno ai miei.

Alla mia richiesta in merito all'utilizzo che il misterioso committente avrebbe fatto degli aerei, il nostro gigantesco interlocutore tagliò il discorso, semplicemente dicendo che quello non sarebbe stato un nostro problema.
Robert non avrebbe mai accettato. Sia per i soliti discorsi di tipo moraleggiante, sia perché avrebbe obiettato che difficilmente una produzione di tal genere avrebbe potuto non attirarci addosso qualche poliziotto di troppo.
Ultimo problema, tenuto conto che saremmo stati solo in due a lavorare, le tempistiche, dal momento che la consegna sarebbe stata prevista per la fine di settembre.

Ci apparve decisamente improbabile la possibilità di rispettare tale data, a meno che non avessimo sospeso ogni altro lavoro e non ci fossimo dedicati a quello giorno e notte.

Per tutti quei motivi, mi ritrovai ad abbozzare un diniego, ma Tony mi fermò, invitandomi a prendere tempo.
E così feci, chiedendo a quell'uomo, che identificammo con l'appellativo di "Sfregiato", non conoscendo il suo nome, di darci alcuni giorni per valutare la sua proposta.

Ci disse che sarebbe ripassato da noi il quindici maggio. Se non gli avessimo fornito una risposta definitiva entro quella data, si sarebbe rivolto ad altri.
Quando quell'uomo uscì dal nostro ufficio, tra me e il mio socio si accese una vibrante discussione. Anthony dal canto suo avrebbe accettato senza riserve. Con il suo solito linguaggio sintetico, mi fece presente che con quello che avremmo guadagnato avremmo avuto abbastanza soldi per pulirci la coscienza e corrompere qualsiasi funzionario di polizia.

Io, di contro, gli rappresentai tutte le obiezioni che mi passarono per la testa, compresa la fortissima sensazione negativa che quell'uomo mi aveva trasmesso. Una sorta di campanello di allarme che suonò nella mia mente per tutta la durata del colloquio.
Andammo avanti a discutere a lungo e più parlammo, più aumentò la mia convinzione che avremmo fatto meglio a rifiutare quel lavoro.

Successivamente passai un paio di notti insonni, cercando in qualche modo di autoconvincermi che accettando non sarebbe successo nulla di male, ma le mie paure finirono con l'avere la meglio. Decisi che, per quanto mi riguardava, avrei rifiutato.

A malincuore, bocciai dunque il progetto, etichettandolo come troppo pericoloso, sia per la nostra coscienza che per la nostra incolumità.

Esponendo nuovamente a Tony, nei giorni successivi, le mie motivazioni, alla fine anche lui si convinse. La cupidigia che l'aveva abbagliato lasciò lentamente il passo alla ragione.
Quando lo Sfregiato fosse tornato da noi, l'avremmo gentilmente messo alla porta di comune accordo.
Archiviammo il discorso, convinti di non dover più tornare sull'argomento.
Ma poi tutto venne stravolto dal ricatto di Annette e quella sera, sdraiato sul mio divano, dovetti fare i conti con la realtà. Compresi che le condizioni erano cambiate. Non potevamo né procrastinare ulteriormente, né permetterci di rifiutare la proposta di quell'uomo.

Mi alzai con la ferma intenzione di telefonare al mio socio per anticipargli la mia decisione, senza attendere il giorno successivo, ma nel momento stesso in cui presi in mano il telefono sentii suonare il campanello di casa mia.
Andai a vedere chi fosse con il cuore in gola. Era Anthony. Intuii cosa mi avrebbe detto prima ancora di farlo entrare.

GIOCATTOLIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora