Capitolo 16

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Non appena fummo in strada, accolsi con piacere una ventata di aria fresca.
<<Che si fa?>> chiesi al mio accompagnatore.
<<Semplice. Se è vero che questo tizio deve passare di qui, di certo non si aspetta che qualcuno sia pronto ad intercettarlo. Ce ne stiamo buoni buoni in macchina dall’altro lato della strada e aspettiamo. Avanti, andiamo.>>
Rientrai in macchina, pregando in cuor mio che lo Sfregiato arrivasse e fosse puntuale.
Fu l’ora più lunga della mia vita. Chiuso in mezzo ai miei potenziali assassini, mi pentii definitivamente di aver infilato Bruce in quella storia.
Fu Vattuone a scorgere per primo l’uomo che stavamo attendendo, notandolo arrivare a piedi, dal fondo della via.
<<Giocattolaio, sveglia>> mi disse causandomi un sobbalzo. <<È quello il tuo uomo?>>
Lo riconobbi immediatamente. Come sempre vestito di scuro, indossava gli stessi occhiali da sole del nostro ultimo incontro. La cicatrice che gli solcava il volto era inconfondibile.
<<È lui.>> Risposi senza alcuna esitazione.
<<Ottimo. Buddy, Jason >> disse il boss agli uomini seduti al mio fianco, uscite e andatevi a prendere un caffè al bar lì vicino al tatuatore. Sedetevi nei tavolini fuori, pagate già il conto e appena il nostro amico esce fermatelo e portatemelo qui. Lo voglio in questa macchina a ogni costo, ma cercate di fare il meno casino possibile.
I due non parlarono. Con un cenno di assenso uscirono dalla macchina e andarono ad eseguire gli ordini che erano stati loro impartiti.
Non passò molto tempo. Una ventina di minuti al massimo. Evidentemente si trattava delle ultime rifiniture al disegno.
Dal negozio di mio figlio, lo Sfregiato uscì con aria soddisfatta ed espressione non curante, apprestandosi a tornare sui suoi passi.
Noi osservammo dall’auto i due scagnozzi di Vattuone che lo avvicinarono, con l’aria innocente di chi vuol chiedere informazioni.
Lo Sfregiato parve rispondere loro con atteggiamento palesemente infastidito, tuttavia cambiò repentinamente espressione quando uno dei due gli si accostò, come se avesse voluto sussurrargli qualcosa. Probabilmente gli avevano appena spiegato di avere un paio di pistole in tasca con le quali lo tenevano sotto tiro.
Lenny Rope, ammesso che quello fosse veramente il suo nome, parve valutare un’ipotesi di fuga, ma evidentemente la scartò, arrendendosi e seguendo i due tizi.
Il terzetto si avvicinò all’auto. Fecero salire lo Sfregiato sui sedili posteriori a fianco a me.
L’uomo chiamato Buddy lo seguì, mentre il biondo rimase fuori dal veicolo.
Lenny, aveva abbandonato la minaccia di due pistole per trovarsi in una situazione peggiore all’interno dell’auto.
Sotto il tiro di Vattuone, di Jake e di Buddy la sua espressione granitica, già messa a dura prova dalla situazione, si sciolse definitivamente non appena riconobbe il sottoscritto.
Evidentemente in quell’istante intuì anche l’identità di Vattuone, e la gravità della sua posizione. Ma tentò di dissimulare la sua sorpresa.
<<Chi siete? Cosa volete da me?>>
La risposta del boss non si fece attendere: <<Chi siamo lo sai perfettamente. Non provare a fare il furbo. Ho visto il tuo sguardo appena hai riconosciuto il nostro amico giocattolaio. Ora, premesso che non ho nessuna voglia di perdere tempo, dimmi per chi lavori.>>
<<Ci dev’essere un errore. Io non vi conosco. E non ho un datore di lavoro. Ufficialmente sono disoccupato anche se in realtà mi intendo di impianti elettrici e faccio qualche lavoretto qua e là.>>
Vattuone sorrise. Un sorriso ironico. Abbassò il finestrino e si rivolse al biondo: <<Jason, prenditi un taxi e raggiungi Carmine. Noi portiamo il nostro amico Lenny a fare un giretto.>>
Con un cenno del capo, l’uomo vestito di bianco obbedì e si allontanò dall’auto.
<<Jake, metti in moto. Ho voglia di muovermi mentre parliamo con il nostro elettricista.>>
<<Io non voglio andare da nessuna parte>> accennò lo Sfregiato. <<Non so come sappiate il mio nome ma state prendendo un granchio colossale.>>
Il suo volto pallido e la fronte sudata tradirono il suo terrore, a discapito dell’atteggiamento da duro che stava cercando di mantenere.
Il sorriso di Vattuone si accentuò. <<Io penso di no. E ti dirò una cosa. Ti do cinque minuti per smetterla di prendermi per il culo. Poi, dal momento che mio figlio è morto anche per causa tua, se non mi dici per chi lavori ti ammazzo con le mie mani.>>
Nell’udire quelle parole la sicurezza dello Sfregiato vacillò. Io mi ritrassi nel mio angolo dell’auto il più che potevo, terrorizzato da quello che sarebbe potuto succedere di lì a poco.
La nostra marcia priva di meta nel frattempo proseguì per svariati minuti, o forse più, immersa in un silenzio surreale.
Lenny parve sul punto di cedere per alcuni istanti. Dopodiché il suo sguardo si fece nuovamente spavaldo e parlò: <<Io non so veramente di che cosa stiate parlando. Non vi conosco e vi ripeto che state minacciando la persona sbagliata. Non so per chi mi abbiate scambiato ma non sono il vostro uomo.>>
Vattuone non disse nulla. La sua unica reazione, per alcuni interminabili istanti fu quella di inclinare pericolosamente la testa da un lato, come a distendersi i muscoli del collo.
Poi udii lo sparo. Un rumore sordo, improvviso.
La pistola del boss, da cui partì il colpo, si era abbassata fino ad incontrare il ventre dello Sfregiato, scaricando una pallottola al suo interno. Tutto fu talmente improvviso da apparire irreale.
Una macchia color rosso vermiglio inizio ad allargarsi sulla camicia dell’uomo seduto al mio fianco, che incredulo abbassò lo sguardo verso il foro aperto dalla pallottola.
Il suo volto impallidì, e dalle sue labbra dischiuse non uscì alcun suono, se non un rantolo gorgogliante.

GIOCATTOLIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora