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Farsi male a noi va bene.

Ludovica si sfila il lungo cappotto marrone che ha indossato in quella nuvolosa giornata newyorkese, abbandonandolo su una gruccia nascosta all'interno del grosso armadio bianco che decora la sua camera da letto. Il silenzio che si ode tra le mura del suo appartamento è ciò che più detesta e che più le fa sentire la mancanza dei suoi amici. Era abituata ad essere circondata da quell'insieme di personalità contrastanti, che arricchivano le sue giornate e che le rendevano sicuramente più rumorose. Ora, invece, tutto tace. Nessuna visita improvvisa, nessuna festa, nessuna risata a gran voce. Solo il silenzio.

Le dita magre sbottonano la camicetta elegante, mentre le iridi verde osservano la sua figura allo specchio. I capelli mossi e neri come la pece sono diventati più lunghi. Ora non si limitano più a solleticare solamente le spalle, ma le hanno oltrepassate leggermente. Le piacciono, pensa mentre si rigira una ciocca tra le dita. Vorrebbe farli ricrescere, come li aveva un tempo, quando tutto andava realmente bene.

Lascia cadere, poi, l'indumento lungo il corpo magro, fino a quando non si scontra contro la superficie fredda del pavimento. Un reggiseno liscio bianco copre il suo seno, che scruta con attenzione. Si sente bella. Per la prima volta dopo tanto tempo, si sente bella. Senza paranoie e ansie. Così sorride, alzando timidamente gli angoli della sua bocca, e le gote si tingono dolcemente di un rosato accentuato.

Percorre le forme del suo corpo, solleticandosi la pelle nuda con le mani finché non si scontra con il tessuto dei pantaloni eleganti che le coprono le gambe. Abbassa la zip, dopo aver slacciato il bottone scuro, e se li sfila con un gesto deciso. Anche loro vengono abbandonati sul pavimento, insieme a quella camicetta. E in poco tempo a quell'insieme di vestiti stropicciati si uniscono dei semplici calzini in cotone.

La pelle nuda viene cavalcata da una serie di brividi di freddo, che drizzano la peluria chiara. La accarezza dolcemente, mantenendo le iridi verde fisse su di sé. È bella, si ripete, prima di coprirsi con dei pantaloni a palazzo della tuta e una maglietta a maniche lunghe attillata.

Recupera dalla borsa, abbandonata ai piedi del letto una volta rincasata, il cellulare. I piedi nudi strisciano lungo il pavimento della camera, per spostarsi lungo il corridoio e fermarsi davanti al divano blu notte che decora la grande sala. Si getta a peso morto su di esso e, dopo ore passate ad evitare la suoneria di quel dispositivo, sblocca la schermata del suo telefono inquadrando il volto stanco ma soddisfatto della giornata lavorativa terminata.

Porta le ginocchia verso il petto, posizionando un morbido cuscino dietro la testa, e legge gli ultimi messaggi inviati dalla sua datrice di lavoro. Maria Vittoria, chiamata semplicemente Mavi o Vic dai suoi dipendenti, è la direttrice del brand Essenza. Una realtà che Ludovica sta ancora imparando a conoscere e che sta scoprendo con grande curiosità.

Maria Vittoria non ha conosciuto Ludovica per casualità. Viveva a Villanova, diversi anni fa. In realtà, ha abbandonato la vita di provincia dopo la maturità per andare alla ricerca di un qualcosa di più grande di lei. Suo padre, dopo un duro divorzio con la madre, si era trasferito a New York. E lei, una volta diventata matura, aveva deciso di seguirlo. Non sapeva ancora bene cosa avrebbe fatto lì, ma era sicura che avrebbe fatto carriera nel mondo della moda. Talmente determinata e sicura di sé da esserci riuscita, dando vita ad un suo brand.

Da giovane, tornava spesso in provincia. Le serviva per ritornare a respirare a grandi polmoni e a tirare fuori le idee migliori. Cristina la incontrava spesso, al bar, per le stradine sperdute della città, a comprare dei fiori. Ricordava bene quella ragazzina dai lisci capelli biondi, lucenti come il sole. Dal balcone di casa sua, la vedeva spesso rannicchiata in terrazza su una sedia a sdraio con un blocco da disegno tra le mani. Creava bozze, gliele aveva fatte vedere un giorno. Così, quando dopo anni l'aveva rivista, le aveva parlato di Ludovica, la sua amata nipotina. Le aveva raccontato che disegnava, creava vestiti, e Maria Vittoria era rimasta ad ascoltarla. Anni dopo le aveva mostrato delle sue bozze, nella speranza che Ludovica iniziasse a credere di più nei suoi sogni e nel suo talento. E quando le ha confessato che avrebbe lasciato giurisprudenza aveva preso la palla al balzo. Aveva contattato la direttrice di Essenza e le aveva detto che sua nipote era pronta, ora, ad affrontare un nuovo viaggio, perché aveva bisogno di evadere da quel posto tanto felice quanto doloroso.

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