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Ritorni.

Il sole si diverte a giocare a nascondino tra le nuvole grigie, sotto lo sguardo perso di Ludovica. Seduta su una poltrona della sala di casa Stagi, con il mento all'insù, osserva incantata quel cielo che le mette tristezza. Fin da piccola sostiene con fermezza di essere terribilmente meteoropatica e che, al contempo, il tempo si diverta a rubarle le sue emozioni e sensazioni per farle sue. Si rispecchia, quindi, nelle nubi scure perfettamente dipinte in quel cielo spento e si lascia schiacciare dai pensieri su quella seduta morbida, sprofondando e rannicchiandosi sempre di più su se stessa. Le dita magre picchiettano ad una ad una sulle ginocchia, alternandosi, seguendo il jingle musicale riprodotto dalla sua mente. Questo motivetto le consente di non venire risucchiata dal silenzio assordante che naviga tra le stanze della casa, mentre fuori l'asfalto viene ricoperto da gocce d'acqua sempre più fitte. Le immagina fare a gara a chi arriva per prima a destinazione; come quando da bambina seguiva con l'indice il percorso fatto da quel piccolo accumulo di molecole sul finestrino della macchina di nonno Dante, decretandone poi il vincitore e demoralizzandosi quando scopriva che non era quello scelta da lei.

Un docile sorriso si posiziona sulle labbra secche, al ricordo di quei viaggi infiniti passati sdraiata sui sedili posteriori della Fiat Panda gialla del suo adorato nonno. Una quattro ruote che ha accolto la sua voce stridula, cantando a squarciagola, tra le risate e le occhiate dei due coniugi. Dalle sigle dei suoi cartoni animati preferiti a quelle delle serie adolescenziali spagnole, obbligando sempre i suoi cari nonni a prendere posto sul divano insieme a lei per istruirli al meglio. Ma non mancavano di certo i cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana e neppure quelle canzoni, definite da Cristina, trash che altro non sono che un inno al sesso, alla droga e alle parole scurrili. Ludovica, principalmente, si divertiva ad inserire, tra una canzone serie e un'altra, una hit, come le piaceva chiamarla per presentare il pezzo, di Bello Figo, per il gusto di vedere quelle iridi chiare alzarsi al cielo, mentre nonno Dante muoveva a ritmo il capo aggiungendo qualche movenza da lui considerate da rapper. Ricorda ancora l'aria leggera che si respirava all'interno del veicolo e, in generale, in qualsiasi luogo in cui vi era la loro presenza. Il cuore esplodeva di gioia in ogni minuto passato in loro compagnia: migliori amici, prima ancora di essere nonni.

I ricordi sfumano malinconici quando la ragazza sente scattare la serratura della porta d'ingresso. Le labbra seguono una linea impassibile, riportando giù di qualche millimetro gli angoli della bocca. Il suo sguardo saetta sull'uscio dietro di sé, ricomponendosi sulla poltrona, e il battito cardiaco accelera al solo pensiero che i genitori di Allegra e Gherardo siano rientrati prima del previsto. Da quanto detto dai due giovani agli amici, i loro genitori sarebbero dovuti rincasare la sera tardi. Hanno passato il capodanno insieme ad amici accoppiati di vecchia data, dando il via libero ai figli per organizzare una festicciola tra pochi intimi con la promessa che al loro ritorno niente sarebbe stato fuori posto. E, in questo momento, la casa non è per nulla in ordine.

Le stoviglie sporche usate quella mattina alle 5 aspettano ancora di essere lavate, ammassate ed impilate una sopra l'altra nel lavabo della cucina. Allegra aveva preparato una pasta scotta, accontentando le richieste dei loro stomaci in subbuglio, a causa della fame chimica e dell'alcol scadente, e unendo una serie di ingredienti che poco centravano l'uno con l'altro, una volta cacciate tutte quelle persone dal bunker e raggiunta la casa a pochi passi dallo studio. Qualche spaghetto di quella creazione si trova ancora incrostato nei piatti, a testimoniare che avevano davvero ingerito quel pasto, che poteva essere descritto in qualsiasi modo tranne che con termini decenti. La tavola è imbandita di bottiglie vuote, sigarette sfuse, pacchetti terminati e una mista abbandonata al suo triste destino. I diversi posti letto sono ancora occupati dai corpi di quelle anime stremate e sfinite, intenzionate a riposare ancora a lungo per poter rigenerare completamente la batteria sociale e la carica della propria produttività.

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