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Lyon

Dopo quasi venti ore di volo – compreso lo scalo - mi trovo sul taxi che mi sta portando alla sede della O'Brien Company di Singapore. D'altronde sono fatto così. Quando devo sbollire, mi faccio prendere da decisioni insensate. Dunque, dopo la visita da Philip ho fatto prenotare a Steve un aereo per raggiungere il paese asiatico nel minor tempo possibile. E la soluzione è stata un volo serale diretto che mi ha fatto atterrare a Singapore poco meno di ventiquattr'ore dopo.

Abbasso il finestrino del taxi per prendere un po' d'aria, dopo ore interminabili sull'aereo. Non sono più abituato a voli di tale durata. A costeggiare la strada file di edifici assiepati, che esibiscono la loro avanguardia architettonica. Un traffico frenetico rallenta il raggiungimento della mia meta e decido così di rassegnarmi e rilassarmi reclinando la testa sul cuscinetto in pelle del sedile. Immagino con infiniti probabili risvolti la reazione di Nick al mio arrivo.

Il grattacielo che ospita la sede della O'Brien Company si dispiega dinanzi ai miei occhi con la sua per nulla discreta maestosità che da un lato rispecchia il mosaico di edifici futuristici della capitale asiatica, dall'altro rivendica la sua dose discreta di occidentalismo newyorkese. Duecentosettantacinque metri che si stagliano verso il cielo che ospitano, oltre agli uffici finanziari, un complesso commerciale che mio fratello ha personalmente contribuito a far entrare nel raggio di investimenti della compagnia. 

Con la ventiquattrore alla mano, mi faccio strada all'interno dell'edificio. Il marmo ocra che riveste il pavimento sembra aver inghiottito la luce del sole che rosseggia al tramonto, attraverso le vetrate, e bagna di oro l'intero piano, fino all'accoglienza, dove una ragazza dai lunghi capelli biondi, in livrea sta per chiedermi probabilmente dove sia diretto. Sono ancora preso ad osservare i divanetti in pelle bianchi disseminati nell'area ristoro su cui si intrattengono persone diverse per outfit e provenienze, da impiegati appena usciti che si stanno godendo la fine della giornata con un aperitivo insieme ai colleghi, fino a clienti circondati da buste di acquisti. Non so se sia per via della luce dorata che rende tutto più esotico e rilassante, ma sto invidiando mio fratello per poter godere ogni sera di questo momento. Tutto quello di cui posso godere io sono le luci al neon artificiali che popolano New York.

«Buonasera, come posso esserle di aiuto?» ripete di nuovo la receptionist. Mi sforzo di essere gentile e le dico che già conosco la strada, ma lei sembra restia a fidarsi. Forse mi ha preso per una persona poco raccomandabile, in effetti, non sono nel mio outfit migliore, come mi rivela lo specchio rettangolare che scorre dietro al bancone. La camicia bianca è ormai sgualcita e straborda dal pantalone a sinistra, i pantaloni sono stropicciati per via delle infinite ore di volo e i capelli... che dire, quelli vanno sempre per conto loro. Dovrei chiedere davvero a Steve qualche trucco per domarli come fa lui. Neanche il mio barbiere riesce a darmi validi suggerimenti che non siano gel o cere con cui renderli più luminosi e ribelli – perché a lui su di me piacciono così - ma a me occorrerebbe il contrario.

«Sono Lyon O'Brien» come al solito devo ricorrere al mio cognome perché ora è quello che pesa maggiormente e a cui sono costretto ad appellarmi in circostanze come queste, ossia allontanare seccature. La ragazza, dai tratti europei, impallidisce per poi arrossire con una rapidità che mi fa temere possa venirle un mancamento.

«Scusi, i..i..o no...non avevo ide...»

«Non si preoccupi... mi diverto a camuffarmi» è la prima cosa che mi viene in mente di dire per rassicurarla e, improvvisamente, tra i miei pensieri si fa largo l'immagine di Jenna, una vera professionista di equivoci.

«Ad ogni modo so dove trovare mio fratello, la ringrazio» mi affretto ad aggiungere per poi svincolarmi.

«Ma il signor O'Brien...» prima che possa aggiungere altro mi sono già diretto verso l'ascensore. Digito il piano centoquarantadue, non sono solo, mi trovo stipato nell'abitacolo, per quanto possa essere spazioso, per lo più tra donne di età diverse con dieci buste per braccio – come cavolo fanno? – e i gomiti sporgenti tutte protese sugli schermi dei telefoni. Mi viene la nausea. Io odio il telefono, soprattutto da quando ho responsabilità per cui devo essere obbligatoriamente reperibile dai miei dipendenti e clienti. 

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora