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Lyon

È il momento. Non accedo a questo "angolo" dell'attico da un anno, da quando ho dovuto rinunciare a giocare. I trofei, gli articoli di giornale che mia madre aveva fatto incorniciare, le foto con i miei compagni di squadra, con Michael Jordan, con Stephen Curry, con LeBron James – i miei idoli di sempre - con il direttore dei Silvers mentre firmiamo il mio primo contratto con la squadra per cui ho sempre tifato, il titolo NBA. 

Torna tutto alla ribalta da quando ho acceso le luci. Per quanto ero ossessionato, non mi bastavano gli allenamenti con la squadra, volevo di più. Prima di raggiungere gli altri, mi allenavo da solo qui, nella mia palestra, il mio campo da basket, per poi continuare quando tornavo a casa. E ora mi chiedo se tutta quella passione non mi si fosse rivolta contro. Ho esagerato? Ho chiesto troppo al mio corpo? Più di quanto potessi dare?

«Lyon» sussulto al sentire la voce di Jenna, come se mi avesse svegliato da uno stato di sonnambulismo. Mi guardo intorno, osservo lei, con le braccia intrecciate al petto, lo sguardo interrogativo, mentre si avvicina alle teche di vetro, che pulsano di ricordi.

«Tu... tu sei...»

«Sono io»

«Io non... non sapevo... cioè non ti ho...»

«Ero molto più affascinante prima, lo so» dico prendendo il pallone accanto all'albero del canestro per testarlo. È buono. Inizio a palleggiare. Se i miei genitori mi vedessero, posso essere sicuro che non approverebbero. E non solo loro...

«Di sicuro i capelli lunghi e incolti, almeno quanto la tua barba, ti fanno sembrare molto più vecchio» mi schermisce prendendo un pallone da una cesta e tirando dal centro.

«Bel tiro» ammetto indicandola. Mi posiziono alla sua stessa distanza per vedere quanto sia arrugginito. L'arco che compie la palla è buono ma non abbastanza da entrare, prendo il ferro.

«Ehi leone vacci piano, forse posso insegnarti qualcosa» non so se è per via del senso di sfida o dell'adrenalina che ho voglia di provare, ma la sua provocazione mi suscita un brivido come avessi preso una scossa. La osservo mentre la palla compie una parabola perfetta al punto da entrare in maniera pulita, senza toccare l'anello di ferro. Vederla così sicura e provocante mi spinge ad alzare il livello di sfida e di giocare al suo stesso gioco. Devo pur ricordarmi di essere Lyon, il leone dell'arena, così mi chiamavano.

«Mi ricordo molto bene come si gioca, Jenna» le sussurro all'orecchio. Non era mia intenzione ricorrere a un tono di voce malizioso, né stuzzicarla, ma, senza accorgermene devo averla provocata e sconvolta al punto da farla irrigidire e fermare l'azione che stava compiendo. Cazzo. Non posso impostare le cose in questo modo, devo darmi una calmata, che mi succede? Mi passo una mano tra i capelli.

«Stavi tirando bene, comunque, continua così» cerco di riparare la situazione per farla sentire a suo agio e reprimere quella demente parte di me da maschio alfa, da predatore che deve conquistare la sua preda. Aspetta... da quando Jenna per me è una preda? Con la coda dell'occhio vedo il dispenser e decido di prendere un bicchier d'acqua. La giornata è appena cominciata e sono già sfinito. Credo che la vera impresa non sarà vincere il torneo o Jenna, l'unico problema sarà gestire me stesso.

Jenna

«È in questo tempio che ci alleniamo?» esordisce Mark, fresco e del tutto noncurante del suo ritardo, materializzandosi dall'ascensore. Purtroppo per lui mi ha colta in un momento alquanto delicato, visto che non solo ho scoperto di aver conosciuto Lyon O'Brien e con lui disputerò un torneo tra distretti clandestino, ma ho appena rischiato di svenire per sentire la sua voce sfiorarmi il collo proprio un attimo fa. Approfitto per sfogarmi e lancio il pallone contro Mark che, prontamente, lo afferra e lo blocca tra le mani, mentre, a passo deciso, avanzo verso di lui.

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora