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Jenna

Prendo dei bagels prima di dirigermi alla O'Brien Company, Mark mi ha avvisata che deve ultimare la raccolta di alcuni dati e non so se riuscirà ad uscire per pranzo, per cui credo che non disdegnerà uno dei suoi spuntini preferiti. Già che ci sono ne prendo qualcuno in più anche per Lyon. E, appena il mio pensiero va a lui, una spruzzata di timidezza si cosparge sulle mie gote, del tutto non richiesta. 

Non posso crederci di aver dormito con lui, anzi, correggo, che lui si sia addormentato sul mio letto e neanche che questa mattina lo abbia colto seminudo mentre si riappropriava dei vestiti che aveva abbandonato sul pavimento. Eppure, devo essere sincera, non provo alcun moto di rabbia nei suoi confronti per averlo fatto, al contrario, mi ha regalato un'aurea di tranquillità che, per la prima volta da quando sono a New York, non mi ha fatto svegliare con la sensazione di avere un peso sul petto. 

Lyon, inconsapevolmente, ha alleviato il senso di colpa che mi porto dentro per aver lasciato casa, mia madre, mio fratello, mio padre, senza dir loro nulla, semplicemente accettando di partecipare con me a quel torneo. Chissà come avranno preso la mia partenza. Senza accorgermene, in modo quasi del tutto automatico, raggiungo il palazzo della O'Brien Company e il quarantesimo piano, dove si concentrano gli uffici finanziari. Fuggo i pensieri che mi legano al passato e mi concentro su Mark, tutto preso nei suoi compiti.

«Io. Ti. Amo» scandisce non appena si sofferma sui sacchetti che ho in mano e li agguanta mentre mi siedo.

«Vacci piano, non sono solo per te» mi scruta con fare indagatore.

«A proposito... Lyon è arrivato in ritardo questa mattina» dice con tono allusivo mentre si lascia ruotare sulla sedia. Scoppio a ridere.

«Sai, in giacca e cravatta sei proprio un bel tipo» commento divertita. Lui, compiaciuto, si sistema la cravatta con fare teatrale.

«Il tuo bel tipo domenica ti porta di nuovo a pranzo con i suoi» dice sottovoce inchinandomi sulla scrivania verso di me.

«Non vedo l'ora» dichiaro abbandonandomi sulla sedia davanti a lui.

«Ma torniamo a noi» dice socchiudendo gli occhi.

«Mark, smettila. Non ti si addice il tono inquisitorio» lo ammonisco divertita.

«Hai ragione. Lasciando da parte i convenevoli, come è andata ieri sera? So che è venuto da te» dice addentando un bagel e guardandomi come se dipendesse dalle mie labbra.

«E tu come lo sai che è venuto da me?»

«Perché gliel'ho detto io» rivela e l'idea che non lo abbia fatto di sua spontanea volontà quasi mi dispiace.

«Per essere più precisi... l'ho incitato a venire da te prima che si facesse troppi problemi e così è letteralmente corso da te» aggiunge come mi avesse letta nel pensiero. E questo mi fa pensare che mi stia facendo coinvolgere troppo. Scrollo la testa per allontanare quel pensiero. Non mi sto facendo coinvolgere da nessuno, dico a me stessa.

«Gli piaci» biascica tra un morso e l'altro. Io, fuori controllo, arrossisco.

«Ma cosa dici? Stiamo solo giocando insieme ad un torneo, poi finirà tutto, ognuno andrà per la propria strada... e poi io sono occupata» dico strizzandogli l'occhio e abbandonandomi sulla sedia. Mark sorride, divertito.

«Jen» si fa improvvisamente serio, ripone il bagel nel sacchetto per parlarmi «lasciando da parte la nostra storia, magari sarà così o magari no, ma, ancora una volta, non sabotarti da sola, non rovinare i presupposti per qualcosa di bello, che puoi vivere. Ti sei già punita abbastanza allontanandoti quando l'unica persona che doveva andare via era lui» quando Mark si fa improvvisamente serio, inchiodandomi con lo sguardo, è come se mi ricordassi di avere due vite e, soprattutto, di aver commesso qualcosa di sbagliato. Sento le lacrime farsi strada fin quasi a sgorgare ma le freno in tempo.

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora