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Lyon

Non è proprio di uno sportivo essere razionale. Frase che potrebbe risultare discutibile se si pensa alla ferrea disciplina a cui si è sottoposti quando si gioca a livelli agonistici. Eppure, una dose di pura e sana follia è alla base dell'atleta più intransigente. Deve esserci un'innata predisposizione alla sofferenza, al sacrificio così come alla sete di successo, affermazione, realizzazione, insomma un faro di narcisismo di cui non ci si stanca mai ed anzi che si cerca di nutrire sempre più. Jenna mi ha appena restituito un barlume della luce sotto la quale vivevo, senza la quale potevo vivere. 

E lo sto scoprendo proprio ora che, probabilmente, ha detto la frase più sensata da quando l'ho conosciuta. Se ero io a credere che non potesse partecipare a questo torneo, ora non riesco a concepire l'idea che non lo faccia io e questo mi spaventa. Sento le piante dei piedi ancorate a terra, non riesco a muovermi e neanche a correrle dietro. Alzo lo sguardo in direzione di Mark che, con gli occhi, l'ha seguita fino all'ascensore.

«Jenna... ehi Jenny» dice mentre la raggiunge frapponendosi tra le ante per non farla scendere. Stringo tra le mani il pallone, sento il bisogno disperato di giocare, pur sfidando il consiglio dei medici a non farlo più, neanche partite amatoriali per i primi anni dopo l'infortunio, eppure io non posso ignorarla. Non posso. La sento scorrere nelle vene, prima lentamente poi sempre più impetuosa fino a bruciarmi e non posso farne a meno. Lascio cadere la palla a terra, le mani mi tremano. Jenna è appena andata via, non so cosa si siano detti. Tutto quello che mi era intorno era estraneo. Per un momento mi sono sentito come un anno fa, quando ero ancora io, quando ero chi desideravo essere, nel posto giusto, al momento giusto.

«Quando si mette in testa una cosa, è inutile» commenta Mark. Si avvicina al borsone, lasciato ai piedi di una panchina a bordo campo, sfila una borraccia da un tascone e si siede.

«Peccato che la sua determinazione sia pari ai suoi sbalzi di umore» mormoro.

Lascio Mark, che mi guarda sospetto, ignaro di cosa abbia farfugliato. Mi infilo rapidamente in ascensore, sono quasi certo di trovare Jenna ancora al mio appartamento. Fremo più che mai perché arrivi in fretta. Quando finalmente le ante si aprono sulla living room, trovo solo Donald impegnato a riporre nei sacchetti gli avanzi della colazione.

«È appena andata via» si limita ad aggiungere senza distogliere lo sguardo da quello che sta facendo.

«E come se l'ascensore l'avevo occupato io?» protesto. Lui, mantenendo la sua indifferenza, mi indica le porte chiudersi dietro di me. Jenna se ne è andata praticamente sotto i miei occhi.

«Non posso crederci»

«Oh io sì... sei un disastro con le donne, da quando non giochi più» sentenzia.

«E tu che ne sai?» è il mio orgoglio che mi spinge a controbattere «e comunque» aggiungo puntando l'indice contro di lui con fare minaccioso «non ti pago per essere il mio consulente sentimentale, né per ricevere pareri su come mi comporti con le donne, chiaro?» cerco di sembrare perentorio, ma la sua risata grossolana spegne qualsiasi mia aria autorevole.

Jenna è in strada, ha imboccato la novantaduesima ed io sono in tenuta sportiva, outfit consono per potermi mettere a correre e raggiungerla.

«Jenna» ha indossato nuovamente il balaclava che le copre il volto in modo da lasciare scoperti solo gli occhi verdi e grandi. Ogni volta che li guardo hanno un colore diverso, ricordo il color miele della prima volta, quando vi baluginava la scintilla della sfida.

«Non ci provare, Lyon» esordisce in tono perentorio.

«Non capisco... fino a ieri, pur di partecipare a quel torneo, hai rischiato di farlo solo giocando con Mark e ora che ci sono anch'io, come volevi dall'inizio, dov'è il problema?»

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora