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Lyon

Non capisco perché non risponda, penso tra me e me, mentre nervosamente cammino avanti e indietro. Eravamo d'accordo, avevamo appuntamento tutti e tre qui, nella mia palestra, eppure di Jenna non si sa nulla.

«Quindi non l'hai sentita da questa mattina» ripeto per l'ennesima volta, sperando che Mark si sia dimenticato di aver avuto altre notizie da lei.

«Sì, non è venuta neanche lei al pranzo con la mia famiglia. Ma ho pensato che avesse un impegno a lavoro» spiega Mark preoccupato.

«Sì, sarà così» aggiungo, consapevole di non poter attribuire a lui la colpa del silenzio di Jenna. Sono le dieci, avevamo in programma il riscaldamento e il ripasso delle tattiche di gioco prima di partire per il Queens.

«Ehi, Lyon, sei troppo agitato. È Jenna, sa cavarsela» mi rassicura. Probabilmente ha ragione, ma il pensiero dello stato confusionale in cui l'ho trovata questa mattina e poi... il nostro bacio mi fa pensare che ci abbia ripensato o che... non so... abbia fatto qualcosa di insensato.

«Sì, hai ragione... forse dobbiamo solo aspettare» dico non troppo convinto.

Mi infilo la felpa grigia che ho lasciato a bordo campo e sto per controllare di avere un cambio nel borsone, quando si aprono le ante dell'ascensore e Jenna, con il cappuccio tirato fin sopra ai capelli, le mani nel tascone centrale della felpa, e le cuffie alle orecchie entra con aria imperturbabile. Prima che si tolga le cuffie, con un paio di falcate mi precipito davanti a lei.

«Che ti è saltato in mente? Avevamo un appuntamento, non eri tu quella contraria ai ritardi?» dico fuori di me, senza riuscire a trattenermi.

«Ho fatto qualche minuto di ritardo, può succedere» spiega con tranquillità, noncurante che fossimo preoccupati.

«Non è un cazzo di minuto di ritardo, Jenna» ribadisco agitato. Non ricordo quando sono stato così minaccioso l'ultima volta, probabilmente in spogliatoio, tre anni fa, con un nuovo arrivato per il suo atteggiamento spocchioso e altezzoso verso di me e i miei compagni. Lei mi supera per raggiungere Mark.

«Jen, cos'è successo? Perché non hai risposto alle nostre telefonate?» mi volto verso di loro fregandomene della privacy o di rispettare qualsiasi tipo di rapporto ci sia tra loro. Lei scrolla la testa, come non volesse parlarne.

«Se non vi dispiace, dovremmo andare» dico senza preoccuparmi di nascondere la mia disapprovazione.

In ascensore domina un silenzio glaciale, Jenna è assente, Mark è teso ed io ho i nervi a fior di pelle. L'unica cosa che mi viene in mente di fare per sfogare la tensione è serrare le mani in pugni e contare i minuti che mancano per l'inizio della partita. Quando arriviamo al piano meno uno, mi concedo di riservarmi, almeno, lo spettacolo dei loro sguardi perplessi.

«Lyon, per caso anche questo è un regalo di laurea?» chiede Mark indicando una delle Ferrari del parcheggio.

«Buon occhio, Mark. Facciamo che se lavori bene, ti metterò in condizione di comprartene una»

«Improvvisamente mi è venuta voglia di straordinari» replica.

«Ci hai portati a contemplare il tuo parco macchine, Lyon?» il tono provocatorio mi spinge a rivolgerle uno sguardo di disapprovazione.

«Non ho bisogno dell'ammirazione di nessuno, Jenna» ribatto perentorio e il tono tagliente non l'ha lasciata indifferente. Non so cosa le sia successo nelle ore intercorse dal momento in cui è andata via dalla laurea, ma ora non ho intenzione di fare lo psicologo.

Sfilo dalla tasca della felpa la chiave della Jeep nella fila di auto sportive in fondo al garage che ho provveduto a far rivestire nel mio anno di "convalescenza". Dovevo pur riempire in qualche modo le mie giornate e rimpinguare la mia collezione d'auto nonché rinfrescare e tirare a lucido le mura che le circondano mi sembrava una buona idea.

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora