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Jenna

No, no, no... vattene! Vattene!

«Jenna! Ehi Jenna, tesoro» apro di scatto gli occhi. La mia stanza è illuminata, noto che Cindy ha acceso la luce. Aspetta, perché Cindy è sul mio letto, accanto a me? Mi sollevo, do una rapida occhiata intorno, per assicurarmi che sia tutto come al solito.

«Hai avuto un incubo» spiega con espressione ammansita e la voce tenera, come mi avesse letta nel pensiero.

«Ti ho svegliata?» lei annuisce. Mi sento in colpa, non è la prima volta e temo che non sarà l'ultima. Eppure, ultimamente non mi era più capitato, o almeno non me ne sono accorta.

«Lo faccio spesso? Cioè... ti sveglio spesso?» mormoro. Cindy distoglie lo sguardo da me per un istante. Leggo chiaramente un'aria imbarazzata, non sa come rispondere, forse teme che possa dispiacermi.

«Cindy...» la incalzo.

«Jenna, hai gli incubi da quando ti sei trasferita» ergo, la sveglio da allora. Da quando ho iniziato a frequentare assiduamente Mark e, dunque, a giocare più frequentemente a basket, ho passato intere notti senza svegliarmi, sfinita e stremata per gli allenamenti. Ma, forse, quello di cui non mi sono accorta è che, probabilmente, parlo e mi agito nel sonno, a tal punto da svegliare la mia coinquilina.

«M...mi.. dispiace» ammetto. La sua espressione comprensiva mi fa ancora più male. Non voglio essere compatita, non voglio che mi consideri debole e fragile.

«Andiamo a prendere un po' d'aria, chiquita» propone con il suo sorriso contagioso, che mi fa ritrovare le forze e l'umore giusto per assecondarla. Non ho idea di che ore siano, seguo Cindy, che scavalca il balcone per sedersi sui gradini della scalinata antiincendio. Ho preso il pacchetto di sigarette, ho bisogno di fumarne una. Quando la accendo, lei, con sicurezza, ne sfila un'altra. La incastra tra le dita, se la porta alla bocca con un gesto tanto elegante quanto desiderato, come se anche lei ne avesse bisogno.

«Quando ero piccola» esordisce all'improvviso, spezzando l'inaspettata quiete che governa la strada. I suoi capelli, per via dell'umidità, sono più gonfi e ricci, ma le conferiscono un'aria più dolce e più giovane «avevo anche io gli incubi, proprio come te...» questa confessione, pronunciata con una voce piena e profonda, che non le ho mai associato, che non le ho mai sentito, non mi fa sentire vicina a Cindy, né tantomeno compresa.

«L'ho saputo molto tempo dopo, quando ero adolescente...» aggiunge un sorriso amaro.

«A cosa erano dovuti?» mi permetto di chiedere. So che forse sto entrando in un angolo dei ricordi alquanto privato, ma dal momento che ne sta parlando, non posso essere indifferente.

«Al motivo per cui a diciotto anni ho lasciato Barranquilla e mi sono trasferita a New York» spiega aspirando il fumo per poi, in modo catartico, liberarsene.

«Jenna, quando sono andata via di casa, nessuno mi ha trattenuta. Ero un peso. Vivevo in un quartiere povero, ed ero l'ultima di quattro figli, in una famiglia in cui a lavorare era solo mio padre...» racconta con amarezza.

«Non so cosa ti abbia spinto a lasciare casa tua e non ti ho mai chiesto perché tu abbia scelto proprio New York, ma, per tutta la vita ho cercato di non essere come i miei genitori... è tutta la vita che cerco di non comportarmi come loro» posa delicatamente una mano sul mio braccio, gesto che mi spinge quasi a ritrarmi, come se avesse ingiustamente invaso la mia intimità, ma sono abbastanza convinta che ora abbia più bisogno lei di sapermi al suo fianco, che io «per cui, qualora tu non l'abbia capito, puoi contare su di me, sarò disposta ad ascoltarti... quando sarai pronta» aggiunge con voce profonda e rassicurante. 

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora