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Lyon

Mi sono frenato in tempo, stavo per confessare di aver fatto seguire Royce e di aver pagato qualcuno per poter carpire più informazioni possibili su di lui. È chiaro che vuole tenerci un pugno, e la minaccia di questa sera lo ha reso ancora più chiaro, e se gioca sporco, be' devo farlo anche io.

«Lyon, doveva essere un gioco.»

«Non lo è e lo sai, lo hai sempre saputo» ribatto guardandola negli occhi. Credo che sia una scusa che vuole rifilare a sé stessa ma non può continuare a fingere con me, non ora. Non è un gioco. Non c'è divertimento in quello che fanno.

«Jenna, è una guerra» dico cercando di restare calmo.

«Ti devo... ti devo una spiegazione» aggiunge a fatica. Jenna perde lo sguardo nel vuoto ed io, in questo momento, non so come comportarmi, se avvicinarmi, perché, in qualche modo, credo ne abbia bisogno, o se lasciarle lo spazio necessario per raccogliere i suoi pensieri.

«Sono scappata da Oklahoma dopo che mi hanno violentata, o meglio, dopo che mi hanno quasi violentata, non lo ricordo più...» esordisce gelida, come se fosse qualcun altro a parlare di lei, a stento riesco perfino a riconoscere la sua voce. Quando sento pronunciare violenza è come ricevere un colpo allo stomaco. Non riesco ad accostare a lei la parola, non voglio accostare a lei quella parola e l'idea di cosa possa esserle successo.

«Jenna» sussurro. Ora non ho alcun dubbio e mi avvicino, sedendomi al suo fianco, ma lei non mi degna neanche di uno sguardo. È completamente immersa nei suoi ricordi.

«Era l'ultima persona che avrebbe dovuto...insomma... io... non credevo che» la voce, come le mani, inizia a tremare e allora le cerco e le accolgo nelle mie.

«Non devi parlarmene per forza, Jen, se non sei pronta» la rassicuro sforzandomi di far uscire un sorriso che simuli tranquillità. In realtà, dentro, sento lo stesso tornado che mi ha spinto a colpire Rock, l'amico di Royce. Mi verrebbe voglia di spaccare la faccia a chiunque abbia provato a sfiorarla senza la sua volontà. Lei stringe le dita tra le mie. È il primo nostro vero contatto confidenziale e non posso fare a meno di notarlo.

«Ma io...» si interrompe e scoppia a piangere. Me ne frego di essere discreto e la abbraccio, la stringo al petto e avvolgo, tra le mie braccia, lei e il suo dolore. Jenna si aggrappa a me come fossi l'ultimo appiglio per sfuggire a quello che la sta tormentando.

«Tu non devi darmi spiegazioni. Abbiamo accettato insieme questa sfida e io ti resterò accanto fino all'ultimo» è una promessa Jen, vorrei aggiungere ma non ci riesco, non ora che ho i suoi occhioni verdi e umidi fissi nei miei. Vorrei baciare quelle labbra rosse e gonfie che sembrano pulsarle per quanto le ha strette tra i denti, cercando di trattenersi. 

Lei annuisce, distogliendo lo sguardo dal mio e mi rincuora, per ora. Annuisce come stesse convincendo se stessa che non parlarne sia la cosa giusta, ma improvvisamente mi pento di non averla incoraggiata. Forse voleva liberarsene, forse voleva aprirsi ed io l'ho respinta. Sono ancora una volta il codardo che si è depresso dopo l'infortunio, che non sapeva cosa fare della sua vita e che ha rubato il posto che spettava al fratello solo per ringraziare e tranquillizzare i genitori dopo che gli erano stati vicini.

«Non ti azzardare a non passarmi più la palla quando sono libera» dice di punto in bianco dopo essersi stesa sul letto e aver sistemato il cuscino dietro al collo.

«Sarà fatto» riesco a dire, alquanto sorpreso.

Sarò diventato di colpo romantico o rintronato, ma, vederla dormire, all'improvviso, mi sembra la cosa più bella che abbia mai visto e, anziché scavalcare il davanzale e andarmene, mi prendo la libertà di sdraiarmi accanto a lei. Mi soffermo a guardare le pareti che cullano i suoi sonni newyorkesi. È una stanza piccola, essenziale e accogliente. Le pareti ambrate, una cassettiera vintage, una piccola libreria e una abat-jour a sfera sono un cocktail perfetto per rassicurare chiunque dalle trame in cui la notte potrebbe condurti. 

LOVE ON THE GAME - Non senza di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora