Una giornata come tutte le altre, una giornata dove il sole accogliente e caldo dava ampio a spazio alla nuova giornata e alla mia non voglia di alzarmi da quel maledetto letto, una giornata piene di cose da affrontare e di insegnamenti da cogliere uno dopo l'altro ma soprattutto una giornata dove dovevo assolutamente assumermi le mie responsabilità in qualità di marchesa con la visita di Clarice Orsini. Era pur vero che era diventata mia amica, ci scambiavano corrispondenza chiacchierando del più del meno con i costanti aggiornamenti su Firenze e i suoi abitanti; ad esempio tra questi Lorenzo, finalmente aveva chiarito la sua posizione comportandosi da persona matura ma avendo quel cipiglio in più ogni qualvolta vedeva Lucrezia donati per gli amici madonna Ardinghelli. Dall'altro canto però era migliorato e per Clarice questo era l'importante che la rispettasse come essere umano, la Orsini era ancora persa di lui ed io non potevo fare altro che essere felice sebbene un po' di sentimento nei suoi confronti lo sentivo ma scompariva ogni qualvolta pensavo a Giuliano. Una parte di me voleva perdonarlo e far finta che niente fosse successo, ma l'altra era dominante e vinceva riportando una schiacciante vittoria mi aveva fatto male dannazione ed io ero in bilico su quale scelta prendere. Con chiunque avessi parlato che sia aveva, Clarice, Lilya e Vittoria tutte sostenevano la conversazione che prima o poi avrei dovuto affrontare il primo passo poteva essere mio o suo ma prima o poi sarebbe avvenuto; in ogni caso era fondamentale, anzi pensiero comune che seguissi il cuore. Ad ogni modo chiesi a Clarice anche come stesse Bianca e lei mi rispondeva con la solita frase, ovvero era stabile ed io mi rassegnavo mettendo in atto l'arte della pazienza. L'unica cosa che potevo fare in quel momento e che potevo attuare al fine di non ricascarci nuovamente. Per quanto riguardava i sensi di colpa, piano piano si affievolivano come una pioggia incalzante che perdeva la sua potenza riducendosi ad una piccola pioggerellina indifesa. Gradualmente imparai a saper controllare quel subbuglio interiore, affrontandolo qualora si ripresentasse con più consapevolezza, maturità e tranquillità.
Scostai le coperte inspirando a pieni polmoni l'aria proveniente dalle finestre spalancate molto probabilmente dalla servitù evitando di svegliarmi siccome dormivo come un agnellino, sorrisi al pensiero sorridendo alla scena e porgendomi quella fatidica domanda: sarei stata in grado di vedere Clarice o sarei fuggita a gambe levate prima del suo arrivo? La seconda non mi sembrava l'alternativa corretta se l'avessi fatto parevo una bambina in fuga dai suoi doveri, la prima se avessi voluto rispondere avrei detto di sì alla fine non avevo niente in meno a lei o gli altri e questo costante paragonarmi non avrebbe fatto altro che farmi state male. In sintesi se adottavo il paragone mi facevo male con le mie stesse mani, non reputandomi all'altezza. Dall'altro lato non avevo la testa e mi vergognavo a farmi vedere in questo stato anche se mi fossi sistemata e indossato il miglior abito in circolazione, ma dovevo pur mettere qualcosa di certo non potevo starmene nuda. Se avessi detto a Vittoria tutto questo mi avrebbe picchiata e aveva ragione questo sentirmi inferiore doveva smetterla di tormentarmi; alle volte la testa sparava certe cavolate che ero sul punto di prendere una padella e tirarla sulla fronte, magari il dolore mi avrebbe impedito di pensare a cose inutili e che mi facevano perdere tempo. Dolore non dolore, inferiorità o inferiorità era ora di mettere a posto la mente così dopo l'ennesimo respiro mi alzai e procedetti con la sistemazione della stanza. Lo spiffero proveniva dalla finestra era stato messo apposta era un chiaro avvertimento usato per svegliare la dolce principessa durante il suo torpore notturno allo scopo di farla rinsavire; doveva svegliarsi prima o poi, di certo non poteva rimanere nel suo letto in eterno quindi avevano pensato bene di attuare quel piano approvato non solo dai marchesi, anche da tutta la servitù appena si faceva tardi si precipitavano nella stanza aprivano le finestre e il venticello fresco della mattina giungeva inesorabile. Inizialmente non si sentiva poi si faceva sempre più costante, sorrisi al pensiero immaginandomi due o tre donne entrare quatte quatte come delle volpi in procinto di rubare uva e mettere in atto la strategia per svegliare la dolce marchesina bella addormentata. Di consueto quando ci si divertiva per così dire il tempo scorreva, quel rimanere sotto le coperte faceva sì che perdevo la cognizione delle ore, dei minuti e dei secondi non sapendo quanti ne scorressero dinnanzi ai miei occhi increduli e stupiti dal fatto che bastava poco uno schiocco delle dita affinché la giornata passasse. Eppure non avevi fatto niente di così eclatante se non aprire gli occhi e farli adattare alla luce che sanciva il nuovo giorno, le palpebre avevano preso quella decisione perché la me te aveva dettato un preciso ordine una sorte di adrenalina anzi essa stessa che ordinava di non poltrire oltre.
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Il bacio della marchesa
ChickLitSaga 'nel nome dei medici' libro primo La marchesa Carolina De Medici giunge con la sua famiglia a Firenze, sono ospiti del signorotto e mecenate della città nonché suo cugino Lorenzo de medici. A seguito di un salvataggio a soli 5 anni ne è innamor...