Diciotto

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Ripensai in quel frangente a Sveva, le sue risposte, il suo modo di guardarami con ribrezzo, schifo le suscitavo ed io me ne rendevo conto ogni minuto che trascorrevo in quel che si potrebbe definire sua compagnia; suppergiunta la vice di mia zia rieccheggiava nel mio animo alternata da una buona dose di senso di colpa il cui ego scaturiva da un'altra voce con fare di rimprovero che si chiedeva il motivo di tanta tristezza seppur non avevo alcuna colpa. Avevo ferito mia sorella dannazione! La punizione peggiore subìta era proprio questa, aver fatto del male ad una persona parte integrante della tua vita che non meritava affatto quel trattamento. Mi torturai i polsi, consapevole che a seguito di quel azione ne sarebbero derivati dei segni rossi ben visibili ma cosa mi importava se qualcuno potesse vederli se avevo provocato tanto dolore a Sveva? Per una volta decisi di non badare ai pensieri della gente e le continue paranoie che non esitavano a palesarsi, era tutta colpa di Arturo ed io ero stupida ad esserci cascata come una pera cotta in un albero rigoglioso; la mia sorellina non mi vedeva mai in quel modo arrabbiato come se volesse picchiarmi da un momento all'altro, la mia sorellina non era capace di dire brutte parole nei mie confronti eppure la rabbia aveva modificato il suo carattere gentile trasformandolo in continua frustrazione. Un'evoluzione senza tempo, un loop temporale dov'ero imprigionata dove uscire si rivela un'impresa ardua pensai e ripensai a ciò che accade qualche giorno fa usufruendo del tempo a disposizione in quel tempo morto mi  concentrai come se dovessi fare qualcosa che richiedesse la massima attenzione sebbene le parole  di mia zia risuonassero nella mente. La tristezza non aveva il sonno leggero bensì si palesava a suo piacimento ero vittima di quel che si potrebbe definire un episodio privo di via d'uscita  nella quale ci ricascavo ogni qualvolta la mia testa volesse farmi uno scherzo di cattivo gusto ben progettato. Intanto che il mio essere era scoinvolto da costanti voci che rieccheggiavano nella mia mente in lotta fra loro, osservai il resto della sala addobata a festa smettendo completante di infliggermi la tortura iniziata sui poveri polsi mi liberai da quei paesi che mi opprimevano. Al fine di non trasudare alcun segno di tristezza interiore, cominciai a scambiare un cenno di saluto alle genti nobili che si affacendavano a interlocuire con il mio campo visivo un sorriso e una semplice parola di circostanza era la ricetta giusta; si avvicinavano le donne accompagnate dai loro mariti, non le avevo mai viste in vita forse conoscevano i miei genitori per questo sapevano i miei titoli inoltre usavano un lessico formale, non mi chiamavano mai per nome, mi davano del voi e altra particolarità mi trattavano come una di loro appartenente all'alta società fiorentina 'buongiorno vostra grazia' ed io rispondevo 'buongiorno a voi' oppure 'vi vedo bene marchesa' di conseguenza enuncivao le seguenti parole 'anche io signora'. Scambiato quei convenevoli si dirigevano in altre parti dell'enorme salone, dove l'arte nel soffitto stagliava la magnificenza e la sua beltà; volgendo lo sguardo, gli invitati  erano distribuiti uniformemente nello spazio immerse nel  profondo chiacchiericcio mescolarono le loro voci creando una confusione che risuonava nel salone, intanto l'orchestra incominciava a posizionarsi nei posti assegnati e tra schioccamenti di dita dove le ossa si frapponevano insieme e tra preparazione psicologica l'evento sarebbe iniziato da lì a qualche ora. Indi per cui non badai affatto a tutti questi stravolgimenti, era come se le voci si erano annullate ed ero sola a fissare il vuoto, era pur certo che  avevo l'arte dinnanzi a me in mia compagnia nel senso più reale del termine e seppur Emiliano era davanti la mia persona lo ignorai come se non esistesse, forse si stava chiedendo a cosa stesse pensando la sua amata sorellina chi poteva dirlo.  Suppergiunta preferivo concentrarmi anzi porre la mia assoluta attenzione su Sveva, il cui pensiero ricominciò a risuonarmi quasi fosse una sinfonia musicale  che ne richiedeva più di quanta ne necessitasse, sconvolta, malnacomica insomma un miscuglio privo d'ordine il mio animo subí il tutto. Con fare deciso si era allontanata da me, lasciandomi in balìa delle emozioni non facevano altro che scavalcarmi interrompendo il mio stato di quiete continuai a pensare  e ripensare; i litigi erano comuni da fratelli ed io ne rimanevo male, mi venivano le lacrime agli occhi impossibile da soffocare. Resistetti fino all'ultimo sbattendo le palpebre un'infinità di volte, fino a quando la lucidità dei miei occhi poteva fare posto all'assoluta normalità respirai ed espirai dando aria ai polmoni ascoltando la contrazione al rialzo e all' abbassò riuscì a calmarmi. A mediare a ciò che stavo subendo, al supplizio infinito in cui credetti di rimanere sola per il resto della mia vita, condizione esagerata, dove la solitudine regnava sovrana  una voce interruppe il mio flusso di pensieri la riconoscevo e con rapidità mi voltai incontrando lo sguardo benevolo del mio fratellino fermo ad osservare il punto in cui il mio interesse si stava concentrando come se volesse scovare il motivo di tanta fissità. Lo avrebbe fatto ed io a pochi passi glielo avrei permesso venendomi incotro e facendogli capire come mai era presente maretta così alta da sovrastarci, ad ogni modo il suo supporto morale era un toccasana in grado di ridestarmi l'animo.

Il bacio della marchesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora