Quattordici

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Piccoli frammenti di luce giallastri, minuscoli raggi di sole che inondavano un paesaggio illuminandolo interamente all'inizio stentai a riconoscerlo pensai si tratasse della mia fervida immaginazione infine ebbi la conferma, con un'attenta analisi e una riflessione su ciò che colpiva il campo visivo dinnanzi a me; non era uno spazio ben visibile, aguzzando la vista e chiudendo gli occhi in due fessure potetti constatare con quel poco che riuscivo ad individuare la familiarità di quel posto tanto misterioso tanto enigmatico.




Riflettei su quella curiosa prospettiva che si rifugió nella mente come se dovesse proteggersi dal freddo glaciale dell'inverno, le ipotesi erano molteplici potevo trovarmi da qualche mio perente in vacanza oppure a casa al cospetto dei Teotochi e compagnia bella, in un'occasione speciale oppure semplicemente un anfratto di vita quotidiana. Spostai lo sguardo in ogni dove, a destra a sinistra scorgendo i dettagli caratteristici del luogo vi erano degli alberi da frutto riconobbi le mele che pendevano come fili di seta; arbusti di more e fragole, l'orto con la verdura ed infine in ultimo le due scalinate  che consentivano l'accesso alla dimora.




Il cancello, la fontana da dove sgorgava acqua limpida che brillava ai raggi solari, il vento primaverile  che seppi riconoscere per la sua leggerezza e calore che smuoveva l'erba fresca smossa da ogni mio passo. Successivamente i miei occhi caddero sul mio vestiario, non indossavo niente che facesse intuire a chi mi osservava le mie nobili origini solamente un abito giallo chiaro si stagliava sulla mia figura con i capelli adagiati sulle spalle; privi di fermaglio, privi di qualunque oggetto che avrebbe potuto permettere un facile riconoscimento non avevo niente addosso neppure una collana o un paio di orecchini zero su zero. Il particolare che da un lato mi colpì, dall'altro alimentó una profonda inquietudine furono le mie mani non erano rosee bensì di un colore tendente al grigio perlato come se non appartenessi al mondo e mi fossi estinta magicamente; respirai ed espirai, il cuore palpitava come un cavallo imbizzarrito  minacciava di fuoriuscire dal petto cadendo a terra e rompendosi in miliardi di pezzettini le mani sudavano freddo ero terrorizzata soprattutto perché non sapevo dove mi trovavo.




La testa cominciò a vorticarmi come una trottola, sentivo che stavo per svenire volevo chiudere gli occhi una volta per tutte e smettere di essere lì nel mistero che mi avvolgeva senza mai abbandonarmi; avevo il compito di scoprire il motivo, il perché, l'ambientazione misteriosa e il giochetto che la mia mente adorava fare ovvero catapultarmi in eventi, spazio o tempo conosciuti. L'obbiettivo era solo di comprendere e di mantenere la calma, sebbene si rivelò difficile dovevo farlo altrimenti il panico mi divorava; stava riprendendo la sua corsa, un minuto anzi un secondo di tregua erano tantissimi semmai un millisecondo per poi in seguito ripartire a gran velocità. Odiavo non sapere, odiavo la mia mente , odiavo i suoi stratagemmi che mi inducevano a riflettere e odiavo il modo in cui le sue lezioni di vita date da questi episodi  si imprimevano in maniera ineccepibile; potevano succedere in qualunque momento, da sola, in compagnia e l'unico modo per venirne fuori era percorrerlo per intero rammentai quando accade in un ballo mentre fissavo imbambolata gli ospiti e Sveva riuscì a scuotermi.






Ad ogni modo mi ripresi e la scena che ricordai fu di un giorno estivo, mentre sguazzavamo nel ruscello fresco al fine di ripararci dalla calura estiva; essendo la mia mente difficile da decifrare disponeva di una buona dose di moralitá, per prevenire una ricaduta istantanea ecco che si attivó una vocina. Molto gentile, sembrava accarezarmi la spalla, mettersi seduta accanto a me e porre fine al supplizio che stavo subendo; intervenne a mo' di supporto ' calmati Carolina, non sta succedendo niente sei viva' in che senso viva? Questo significava che non ero morta, che tutte le paranoie, tutto ma proprio tutto intorno  erano frutto di un....... Mi doleva dirlo, ....... Ricordo; inoltre colei che mi aveva tranquillizzato, usando quelle semplici parole disponeva di una funzione ovvero farmi capire tutto: ero nella mia casa dolce casa. La mia mente aveva un suo compito se così vogliamo chiamarlo durante questa fase, anzitutto fissavo un punto imprecisato come in questo caso in salotto ed i miei occhi puntavano un quadro appeso alla parete; la seconda fase consisteva nell'indossare un abito diverso da quelli usati abitualmente, per poi trasformarmi in una specie di angelo in modo tale che nessuno potesse vedermi. Una sorta di spettatrice che guardava uno spettacolo indisturbata, era pur vero che la mente umana era di fatto contorta la mia funzionava in quel modo come se fosse un marchigeno progettato dal più abile dei costruttori. Ovviamente l'ultima fase era la scelta su dove venissi mandata, qui vigeva la casualità potevo finire alla mia infanzia ed in quel caso erano episodi gioiosi, negativi prevalsi da tristezza, di qualche anno addietro,qualche evento e più ne ha più ne metta. Vi erano altri mischiati, altri una via di mezzo, altri in cui non sapevo nemmeno io come ci fossi entrata; un senso di rilassamento sciolse i muscoli contratti, mi abbandonai alla sinfonia del paesaggio e chiusi gli occhi accarezzata dalla primavera piacevole che attraversava ogni briciolo del mio corpo come una musica soave, come la neve delicata e candida che ricopriva con il suo candore le strade, come l'atmosfera natalizia; cullata dalle sensazioni di pace e tranquillità, immersa completamente come se potessi sorvolare quasi fossi una farfalla leggiadra per i campi e il paesaggio verdeggiante venni distratta da delle voci e colpo al cuore le riconobbi immediatamente senza pensarci due volte.







Il bacio della marchesaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora