1. Boulevard Of Broken Dreams

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Harry


Il buco nel quale vivevo non era mai stato più disordinato di quel momento, ma la cosa non mi infastidiva per niente. Ormai erano poche le cose che mi toccavano, non perché non mi importasse del mondo o perché ero particolarmente depresso, avevo superato quella fase. Non permettevo che le persone mi potessero deludere semplicemente perché le evitavo, evitavo di dare confidenza, di fidarmi, di parlare dei fatti miei, evitavo. Poche erano le persone che mi conoscevano e quasi tutte non erano in quel continente. Trasferirmi a New York era stata la scelta migliore per me, diciannovenne incompreso, solo, sognatore un tempo, sfigato, drogato. Le avevo tutte io e ne sorridevo, sorridevo della mia condizione patetica e del fatto che ne fossi a conoscenza quasi solo io. Mi piaceva stare da solo, mi piaceva fare finta che non me ne importasse niente ed iniziavo a crederci, iniziavo ad abituarmici.

Ogni giorno indossavo quella maschera usurata dal tempo, piena di cicatrici rimarginate, ma che non per quello avevano smesso di fare male. Il male era sopportabile, il male mi piaceva, adoravo quando bruciava perché significava che ero in grado di sentire qualcosa. Avevo dei problemi e questo era più chiaro a me che agli altri. "La consapevolezza rende l'uomo libero, Harry". Me lo ripetevo, a volte. Però non amavo lamentarmi, come potevo farlo quando c'era gente che stava peggio di me? Avevo un letto nel quale dormire, un lavoro, faticavo a mettere soldi da parte, ma tutto sommato ce la facevo, come potevo, ma ci riuscivo.

Mi accesi una sigaretta, mi sdraiai sul letto sfatto e presi in mano il libro che stavo leggendo in quei giorni. Leggere aiutava a calmarmi e mi faceva stare bene. Qualsiasi libro per me aveva del potenziale e meritava di essere letto. Non mi importava di essere quello strano, mi importava di quello che mi piaceva. Passai le ore prima di andare al lavoro così, fumando, leggendo Hemingway, immaginandomi un mondo lontano, pensando di essere nato nel posto sbagliato al momento sbagliato, pensando che i miei sogni fossero scomparsi insieme alla mia adolescenza o che si fossero persi per strada, una strada che ovviamente era sempre stata in fottuta salita.

Era sempre stato così nella mia vita, la sensazione di inadeguatezza non sarebbe passata solo perché ero cresciuto e avevo un bel faccino, quell'alone nero che si era appiccicato alla mia pelle come resina, non poteva essere tolto, sarebbe servita una buona dose di calore a scaldarmi affinché potessi strappare via con le unghie la patina che mi separava dal mondo intero.

Ero arrivato alla conclusione che essere soli non era poi così male, visto che il passato mi faceva ancora così paura da rimuoverlo dai miei pensieri, come se fosse in divieto di sosta, una rimozione forzata e coatta.



Ero in turno con Zayn, era stato lui a trovarmi quel lavoro da barista in quel pub, il Fantom, appena fuori dal campus dell'università. Il locale ancora vuoto ed in ordine, mi appariva diverso senza la massa informe di studenti spocchiosi e viziati che venivano ogni sera ad ubriacarsi e a spassarsela cercando qualche emozione al di fuori della loro vita patetica. Li compativo, li consideravo inferiori, macchiette in un mondo omologato, pieno di regole che loro amavano seguire, facendo finta di essere alternativi se perdevano a birra-pong e dovevano bere fino a vomitare. Già, questi giochi da confraternita che mi facevano ribrezzo, i soliti figli di papà che avevano tutto dalla vita e che avrebbero occupato i posti migliori della società solo perché potevano permetterselo, solo perché erano stati più fortunati a nascere dove erano nati, perfetti nelle loro divise, perfetti nelle loro convinzioni, perfetti ma estremamente inutili. Io ridevo di loro così come loro ridevano di me.

«Ti ho trovato un lavoro, bello.»

Zayn strascicava ogni parola e spesso la metà di quello che diceva non aveva senso alcuno, ma era mio amico, non in senso convenzionale, ma era l'unico che avessi.

No Sound but the WindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora