46. The Scientist

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CAPITOLO 46

The Scientist*


Louis

Mi guardai allo specchio un'ultima volta: i capelli maniacalmente in ordine, ogni ciocca fissata con cura, la cravatta stretta in un nodo perfetto, color indaco, a richiamare i miei occhi, un completo nero lucido. Stavo già morendo di caldo, ma dovevo sopportare per quello si supponeva fosse il mio giorno.

Ed avevo ansia in realtà, quella che mi prendeva allo stomaco e me lo faceva contrarre in mille spasmi, generando quella tremarella scomposta alle dita e arsura in bocca. Mi era già capitato di provarla, ero preparato al meglio.

Ai polsi i gemelli di mio padre, tradizione familiare alla quale non potevo sfuggire, così era da anni e così sarebbe stato, sebbene io non avessi più avuto figli ai quali tramandarla. Sembrava non preoccupare mia madre più di tanto, ma lei era sempre stata assente, persa a sorseggiare i suoi drink al circolo, con le amiche. Non sembrò nemmeno preoccuparsene mio padre, più preso dalla classe sociale del mio accompagnatore che dal fatto che fosse un uomo.

Uno spruzzo della mia colonia, un bel respiro e passo dopo passo mi avviai verso la porta, verso l'uscita di quella casa.

La laurea non era altro che una formalità ormai, visto che lavoravo attivamente in azienda e stavo imparando a gestire tutto quello che andava gestito. Fui quasi soddisfatto mentre lasciai il palmare spento sul comodino, perché quel giorno non mi sarebbe servito.

Il viaggio in auto fu silenzioso. La limousine a contenerci tutti, una famiglia disastrata e che non comunicava da anni. Due figlie adolescenti a preoccuparsi di rossetto e twitter, un padre intento a sfogliare il suo giornale virtuale, una madre ad osservare fuori dal finestrino, le gemelle che erano rimaste con la baby sitter. Tutto così privo di ogni sentimento, così vuoto da farmi pensare di star firmando la mia condanna a quella vita per sempre.

Io non ero così, perlomeno non lo ero fino a poco tempo prima, forse lo ero diventato, forse mi ero accontentato di sedermi su un trono ereditato e chinare il capo sempre, per il bene di una famiglia che non sembrava nemmeno esistere. Diverso sarebbe stato se fossimo stati uniti, diverso se avessi percepito l'amore, almeno da parte di qualcuno, perlomeno da parte di mia madre. Ma come riuscire a trovare amore in posti dove non potevano germogliare nemmeno le parole?

Eravamo sterili, secchi dentro mentre fingevamo di essere uno di quei ritratti familiari dell'ottocento, quelli vestiti di tutto punto, impeccabili, dai sorrisi così finti da sembrare veri.

-Freddie ti raggiunge in facoltà?-

-Freddie non è più un problema: ci siamo lasciati ieri.-

Lo sguardo di tutti i presenti si posò su di me, come se avessi detto la cosa peggiore al mondo, come se fossero addolorati per me. Solo mio padre non mi guardò in quella maniera, perché sapeva chi fosse Freddie.

-Proprio adesso dovevi lasciarlo? Hai avuto mesi e oggi, che ci sono tutti, lui non c'è.-

Mio padre preoccupato per l'esclusiva data, ancora una volta, a Vanity Fair. Le foto della mia laurea, del rampollo omosessuale tra i più ricchi di Manhattan, erede plurimiliardario. L'etichetta da rispettare, i pettegolezzi da alimentare portandoli in una certa direzione, macchinando e lavorando al buio. Tutte cose che non sopportavo più di fare. Da quando avevo fatto coming out i segreti, invece che diminuire, avevano soltanto cambiato stampo. Non erano più segreti limitati a me e a chi mi piaceva, ma si erano allargati comprendendo la mia vita, le persone con le quali uscivo, il mio lavoro, tutto per "salvare" il mio cognome, per non fare scandalo, non rovinare la reputazione, non perdere azionisti.

No Sound but the WindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora