Louis
Il messaggio di Harry arrivò alle dieci e quattro minuti. Guardai il telefono e per un secondo il respiro si arrestò, riprendendo subito più veloce e ansioso.
Stavo aspettando quello, stavo aspettando lui da ore, osservando quello schermo e sperando che si decidesse a scrivermi.
"Alle dieci e mezza davanti alla fermata della metro. Porta il tuo blocco per i disegni: oggi cerchiamo l'ispirazione. A dopo. Harry"
L'ispirazione.
Chissà dove mi avrebbe portato o quale fosse per lui il concetto di ispirazione. Perché Harry era strano. Era arte, era poesia, era vita, ma era anche fatto di fumo, sfuggevole, inconsistente. Faceva parte di quelle cose che puoi soltanto percepire, che a toccarle spariscono o si sciolgono, come la neve. Avevo ansia spasmodica addosso, come quando da bambino aspettavo il regalo di Natale, sperando che si trattasse di un giocattolo e non dell'ennesimo zero sul mio conto bancario.
Lui poteva essere il mio regalo di Natale anticipato? Pensare che Harry fosse stato creato per essere scartato da me, era troppo utopistico? Un'illusione?
Io non mi ero mai permesso di sognare, non mi ero mai concesso il lusso di pensare di poter vivere una giornata senza il mio segreto pronto a schiacciarmi come in una pressa. Essere me stesso con qualcuno che voleva conoscermi, perché lui lo voleva, era meglio di sognare.
Allora iniziai a prepararmi con cura seguendo tutti i miei riti di sempre: una doccia veloce, il mio profumo addosso, i pantaloni stretti quel tanto che bastava per rendermi attraente, le caviglie scoperte e un paio di Adidas bianche ai piedi, semplici, una polo dello stesso colore sotto ad una felpa leggera senza cappuccio, con il bavero rialzato. I capelli in ordine e il cappotto nero. Chissà se gli sarei piaciuto. Mi sembrò di avere sedici anni di nuovo, pronto a sentire ogni emozione più forte, a sentire un po' di più solo per il gusto di provare quel brivido, di sentirmi vivo.
Uscii di casa afferrando la mia tracolla con dentro l'occorrente per disegnare, quando l'unica cose che volessi fare era imprimere le fattezze del suo volto, ancora una volta, nella carta bianca. Io e lui nei nostri soliti incontri immaginari.
Arrivai alla fermata in perfetto orario, ma ancora non c'era in tutto quell'afflusso di gente sconosciuta e dall'identità ininfluente per me.
Dopo qualche minuto passato a pensare le cose più disparate, tipo che tra una settimana avrei dovuto iniziare il tirocinio nell'azienda di mio padre o che si avvicinava il compleanno che tanto odiavo o che prima o poi avrei dovuto affrontare la verità di petto, lo vidi da lontano. Camminava con il giaccone verde scuro aperto, le mani in tasca, i pantaloni neri così attillati da impedirgli quasi di respirare e un maglioncino largo, sempre nero a coprirgli abbondantemente il torace ampio. Teneva la solita sigaretta tra le dita. Il suo viso mi apparve stanco, le occhiaie pronunciate, ma non si trattenne dal sorridermi non appena la distanza tra di noi fu colmata.
-Ciao.-
-Ciao.-
Sorrisi di rimando anche io, mentre ancora una volta i nostri occhi si scontravano facendomi paura per la profondità e la densità di quel verde che, in quella giornata fredda di fine novembre, nuvolosa e fiacca, mi parve ancora più scuro.
-Andiamo che ho tanti posti da farti vedere.-
Mi spinse delicatamente giù per la scalinata della metro e bastò quel contatto elettrizzante a farmi passare ogni preoccupazione.
Dentro alla metro, non mi chiesi nemmeno quale direzione stessimo prendendo, per andare dove, non mi importava, c'era lui, tutto il resto era contorno.
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No Sound but the Wind
Fanfiction['No Sound but the Wind' non è mia. I diritti sono tutti riservati all'autrice che ha creato questa storia e che l'ha, da tempo, resa una delle più popolari e belle di EFP.] [Permesso per la pubblicazione nel capitolo NOTE.] Fanfiction | Long | Har...