3. I Follow Rivers

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Louis

Era sabato sera. L'orologio aveva da poco segnato le nove ed io ero sdraiato sul mio letto, osservando contemporaneamente il soffitto e il piccolo cartoncino colorato tra le mie dita, un cartoncino che poteva significare una svolta.

Avevo visto Brit quella mattina prima di rintanarmi in biblioteca a studiare Analitica 2, uno dei pochi esami che mi erano rimasti indietro. Io e la matematica avevamo un rapporto bulimico: io l'assimilavo, la mandavo giù in grandi dosi, ma poco dopo non riuscivo a trattenerla dentro e fuoriusciva dalla mia mente, sebbene mi sforzassi.

Brit e la sua logorroica parlantina persuasiva, stava distribuendo questi cartoncini a chiunque passasse di lì. Ne afferrai uno, salutandola. Lei mi sorrise, solare come sempre, amichevole come sempre. Fare la promoter, fermare la gente e convincerla, le veniva piuttosto bene.

-Devi venirci stasera. C'è la serata gay e lesbo, puoi portare anche Eleanor.-

Qualcosa in quello che mi disse, in come mi guardò, in come me lo disse mentre le sue labbra si flettevano verso l'alto, mi fece capire che lei sapeva o perlomeno immaginava che io fossi gay e che El non fosse la mia fidanzata. Forse sperava di farsela, da Brit potevo aspettarmi questo ed altro, ma comunque non avrei mai trovato il coraggio per andare in quel posto, rischiare di essere visto, rischiare che qualcuno scoprisse il mio segreto che doveva rimanere tale. Eppure, se avessi convinto El a venire con me, le apparenze sarebbero rimaste al loro giusto posto.

-Non lo so Brit, non so se sia il caso.-

-Io vado con Dana, Harry, Zayn e altri amici, se ti va di unirti a noi, ci vediamo a mezzanotte davanti all'entrata.-

Ci sarebbe stato anche Harry. Il perché cavolo quello doveva incentivarmi ad andarci, non riuscivo a capirlo fino in fondo. Era solo un ragazzo, un bel ragazzo come tanti, non lo conoscevo, non sapevo niente di lui, non sapevo cosa gli piacesse, cosa volesse dalla vita, i suoi sogni. Non sapevo niente di lui e lui non sembrava interessato a conoscermi, minimamente.

Allora passai il pomeriggio a fasi alterne, dal "non vado" al "vado" passando per "come farò a convincere El ad accompagnarmi". In qualche modo, con una buona dose di compromessi, promettendole che sarei andato con lei ad una di quelle cene di beneficenza con i ricconi in prima fila, la convinsi. Sapevo che avrei dovuto sopportare il suo ribrezzo snob per quel posto che, a dirla tutta, era una bettola nel pieno centro di Brooklyn, non certo la sua parte di NY preferita.

Quella sera sarebbe stata decisamente diversa. Diverso come me, diverso dal solito me, diversa per El, diversa per i suoi canoni e per le mie abitudini. Mi accorsi solo più tardi che quello che era diverso per me, poteva essere la normalità per gli altri.

Ero al telefono con la mia finta fidanzata, chiedendole consigli su cosa potessi mettermi per apparire attraente e non uno stoccafisso ingessato. Lei e la moda andavano a braccetto. Lei era la moda. Probabilmente in ogni boutique di Manhattan avevano una commessa che esaudisse i suoi desideri e non sarei mai voluto essere nei suoi panni. Lei era molto esigente, perfezionista ed esibizionista, sempre nel nome del bon-ton che il più delle volte mi faceva rivoltare lo stomaco. C'era già abbastanza finzione nella mia vita e non ero entusiasta di sopportare anche quella degli altri.

-Mettiti i jeans più stretti che hai.-

Mi misi a ridere sonoramente.

-El, non voglio essere stuprato in un bagno.-

Lei non rise, anche se divertita. Era di quelle persone a cui non piace esternare le loro emozioni o ridere sguaiatamente. Forse non aveva capito bene in che posto saremmo andati. Guardai ogni pantalone appeso dentro l'armadio catalogandoli quasi tutti come non adatti. L'ansia saliva.

No Sound but the WindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora