Harry
La noia di domenica pomeriggio era quella sensazione che mi assaliva puntualmente, qualsiasi cosa avessi in mente di fare. Ero una persona abbastanza pigra, ma se mossa da interesse verso qualcosa riuscivo a trasformarmi.
Eppure la noia era sempre lì.
Avevo imparato, leggendo, che non sempre poteva considerarsi negativa. Dalla noia potevano nascere capolavori, pensieri contorti, teorie astratte, fatti di lampadine accese. Idee geniali. I filosofi o gli scrittori, ma anche i pittori o i cantanti, alcuni di loro dovevano sentirsi annoiati per creare qualcosa, prima che arrivasse l'ispirazione a muoverli e a scuotere il mondo alle fondamenta.
Un'associazione di idee, un richiamo, un boomerang lanciato nel vuoto cosmico dei miei silenzi e la figura del pittore annoiato divenne Louis, prese le sue fattezze, si concretizzò nel suo corpo e nella sua attenzione per i particolari.
In quel momento, l'appartamento che in quella settimana era stato pieno di lui e delle sue abitudini, dei suoi rumori che stavano diventando suoni per me, era ricaduto nel non suono irreale, come acciaio nel fondo del mare. E passeggiare per quei sessanta metri quadri, a piedi nudi, sorridendo appena, pensando a lui, anzi negando di sentirne un pizzico di mancanza, che esternarlo ad alta voce avrebbe generato la consapevolezza dell'importanza dell'angelo. Io ero abituato alla solitudine, al silenzio, al rumore della città. Ero abituato a non aspettarmi telefonate, a non mettere in ordine in casa, a non preoccuparmi se il frigo fosse vuoto o meno ed in quel preciso istante, quel giorno, tutte quelle mancanze di normalità mi sembrarono gravi.
Ed era per lui, chi volevo prendere in giro.
Volevo che stesse bene con me, per quanto potessi riuscire a farlo sentire bene, volevo che si sentisse al sicuro come io iniziavo a sentirmi mentre le sue mani scorrevano sulle mie braccia. Avrei voluto tante cose per lui, tante, perché le meritava, ma ero anche consapevole che non avrei saputo dargliele, che forse la cosa principale per lui non avrei mai potuto dargliela finché non avessi capito come fare, come amare di nuovo, non solo lui, ma me stesso e la vita, quella stessa vita che avevo provato a togliermi.
Da quando avevo tentato il suicidio, da quel giorno nel bagno di casa mia, non avevo fatto altro che rivivere quel dolore sempre, costante, come un ticchettio, come un pizzico, una ferita pulsante, un fastidioso rumore di sottofondo, immaginandomi il nulla. Il sangue, la compassione, la pietà, gli sguardi, le medicine.
Mio figlio non è pazzo, non ha bisogno di aiuto.
Quello che mio padre non sapeva era che ne avevo bisogno invece, che le voci passate mi tormentavano tutt'ora, sottili, abitando la mia testa, come coinquilini rumorosi nel momento dello studio. Vivevo con loro, mi ero abituato, avevo imparato ad ignorarle molte volte, a farle tacere.
Alle volte non ci riuscivo, le catene si rompevano e l'argine straboccava allagando, invadendo, distruggendo ogni cosa incontrasse.
Non posso avere un figlio fuori di testa e gay, non posso.
E se n'era andato, il padre assente era diventato non presente del tutto. Colpa mia.
Ed in un flash le lacrime di mamma, le urla, le valige, mia sorella silenziosa che non tornava nemmeno molto spesso a casa da Londra, dove frequentava l'università. Io che vegetavo in un letto, la compagnia del nulla, i ricordi di Nick, dell'incidente, le prese in giro. Mi rafforzai, diventando apatico e me ne andai. Non sentire niente era meglio che sentire dolore. Scelta giusta, forse con il senno di poi...
Avevo vissuto ridendo e volendo spaccare il mondo, non sapendo che era stato il mondo a rompere me, strappato come un pezzo di carta già utilizzato.
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No Sound but the Wind
Fanfiction['No Sound but the Wind' non è mia. I diritti sono tutti riservati all'autrice che ha creato questa storia e che l'ha, da tempo, resa una delle più popolari e belle di EFP.] [Permesso per la pubblicazione nel capitolo NOTE.] Fanfiction | Long | Har...