CAPITOLO 47
You and Me in a Bittersweet Symphony*
Harry
Louis rideva osservando il viso contratto del basso portinaio, vestito di tutto punto, mentre ci dava le chiavi luccicanti della nostra stanza.
Louis rideva perché aveva prenotato una suite e l'avrebbe pagata quel classista di suo padre, non immaginando che io ci sarei stato dentro.
Louis rideva perché le mie mani non riuscivano a stare lontano dal suo corpo, intrecciate le nostre dita a formare un arto unico, attaccate le nostre anime con quel tipo di colla impossibile da rimuovere. Il famoso filo invisibile che legava le persone.
La festa era finita da tempo al Plaza e la notte ci aveva accompagnato fino a quel momento, una notte alla quale essere grato e riconoscente. Aspettammo l'arrivo dell'ascensore con il cuore così colmo di ogni tipo di emozione da non farci capire nemmeno l'importanza di quegli attimi. Gli avevo detto di amarlo e lo amavo così tanto da farmi interrogare sul fatto che nessuno al mondo poteva amare un altra persona come io amavo lui. Ed era viscerale, era mancanza fisica, era tempo che non importava, era lontananza e consapevolezza che Louis era il mio centro, il pennello con il quale colorare il mio bianco e nero, coprire il rosso che era il mio colore.
Rosso come la passione.
Rosso come il sangue.
Rosso come la gelosia.
Rosso di pazzia.
E mi aveva ripreso con lui, mi aveva baciato come se non importasse nient'altro e io, dopo molto tempo, ero felice, felice davvero, tanto da sorridere.
Si aprirono le porte con il classico rumore d'ascensore ed entrammo dentro al marchingegno elevatore senza staccarci di un millimetro. Due secondi dopo le nostre labbra si stavano già succhiando. Lo spinsi contro alla parete e respirai il suo odore ancora una volta, quell'acqua di colonia che non era mai andata via dalla mia mente, marchiata a fuoco nei neuroni, un monito ad indicare che l'aria, senza quel profumo, non era aria che andava la pena di essere respirata.
-Quando sono tornato a casa, sentivo il tuo odore ovunque: nelle lenzuola, negli asciugamani, nei cuscini. Pensavo di essere impazzito.-
Bisbigliai leggero riprendendo a baciarlo per recuperare i mesi di arretrati che avevamo, i mesi durante i quali avevo creduto che non avrei più potuto baciare nessun altro con la stessa intensità con la quale avevo baciato lui. Si scostò e si mise a ridere, occhi negli occhi.
-E' perché a casa tua ci sono stato davvero mentre non c'eri, non eri impazzito!-
Scoppiai a ridere di rimando, per poi fermarmi a pensare razionalmente a quello che mi aveva appena detto. Era stato nel mio appartamento, lo aveva curato, aveva pagato le bollette e si era rintanato lì. Troppo facile immaginare quel piccolo uomo avvolto nelle coperte del nostro letto, a girare scalzo in casa, in quel pavimento che aveva vissuto il nostro amore, il nostro dolore, le nostre risa, i nostri pianti. La mia rabbia quando avevo buttato tutti i libri per terra, libri che erano solo parole inutili e senza senso in quel momento. Perché alle volte le parole perdevano ogni senso, era vuote, erano parole giù utilizzate per altri, riciclate. A volte le parole riuscivano a ferirmi anche senza farlo intenzionalmente, riuscivano a scavare profonde crepe fatte di argilla dentro le quali si poteva anche morire. Altre volte invece, le parole erano state tutto.
Gli accarezzai i capelli della fronte, imbrattati di gel, portandoli indietro dolcemente. Louis mi aveva pensato intensamente come io avevo pensato a lui.
STAI LEGGENDO
No Sound but the Wind
Fanfiction['No Sound but the Wind' non è mia. I diritti sono tutti riservati all'autrice che ha creato questa storia e che l'ha, da tempo, resa una delle più popolari e belle di EFP.] [Permesso per la pubblicazione nel capitolo NOTE.] Fanfiction | Long | Har...