Capitolo 20

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La pacchia era finita, ed era tempo di ritornare a scuola. Gennaio era inevitabilmente arrivato, con il suo freddo imperioso e qualche fiocco di neve. Noi, ovviamente, eravamo tornati a casa dopo la nostra vacanza in Francia, e non potevo essere più contenta: sì, la Francia era carina, ma mai tradire la madre patria.

Fortunatamente, tutto il peso della prima settimana era quasi finito, e il venerdì era ritornato ad essere il giorno tanto agognato da tutti. Non avevo tenuto il conto dei giorni, forse eravamo al 10 gennaio -ricontrollai la data più volte perchè me la dimenticavo, durante l'ora di matematica - e c'era qualcosa che mi stavo dimenticando, qualcosa di importante.

Cercai di non pensarci e mi alzai di scatto al suono della campanella, raccattando le sigarette che intanto erano cadute dal banco -ci stavo giocando prima- e corsi direttamente fuori: una sorta di senso di oppressione mi stava girando attorno, era come se fossi rinchiusa in una cupola senz'aria - ma perchè? Che fosse lo stress della prima settimana?

Ne dubitavo fortemente, doveva essere dovuto a qualcos'altro di più importante e significativo.

Mi sedetti da sola sulla panchina del giardino, aspirando dalla sigaretta, cercando di non pensare al mal di testa che stava martellando incessantemente. Scossi la testa e continuai la mia azione, cercando di rilassarmi.

Sospirai, sentendo un brusio avvicinarsi alle mie spalle.

«Hai una brutta cera stamattina Paola» commentò Stash, stravaccandosi di fianco a me.

«Tu sì che sai come far sentire bella una ragazza» Francesca gli tirò un pugno sul braccio.

«Sei privo di tatto, Stash» la maledetta voce di Mattia mi arrivò alle orecchie.

Maledetto, sciagurato ragazzo. Da quando la notte del 31 era successo, non avevamo avuto poi così tanto tempo per riparlarne: i programmi della professoressa avevano iniziato a farsi intensi -c'era sempre da girare- e dato che Klaudia si era sentita poco bene, mi ero presa la responsabilità di dormire con lei tutte le notti -a parte una, in cui Gabriele si era impuntato- fino alla fine. Mattia, se avevo fortuna, lo beccavo a colazione, e nonostante fosse poco, mi andava bene così. Ormai, ciò che mi ripeteva di dover fare da quando ci eravamo conosciuti, era successo, e la domanda che mi tartassava era: e adesso? Che succederà?

«Sorridi un po', Paola! Oggi è un giorno speciale» mi spronò Cristian, alzandomi gli angoli della bocca con le sue dita.

Alzai un sopracciglio, come a fargli capire che non ricordavo assolutamente niente. Buttai fuori il fumo con fare annoiato, aspettando una risposta.

«E' il compleanno del nostro Briga oggi!» trillò Daniele tutto contento.

Ecco, c'era qualcosa che mi sfuggiva.. Mattia sorrise di rimando, scacciando Daniele -che intanto si era avvinghiato a lui come un koala e gli stava spettinando i capelli- per poi puntare il suo sguardo nel mio. Sapevo che non l'aveva fatto apposta, è che si era girato verso destra ed inevitabilmente il mio marrone si era incontrato con il suo verde.

«Beh, auguri» mi strinsi nelle spalle, tornando al mio vero intento: fumarmi in pace quella cazzo di sigaretta.

«Beh, grazie» si ritrovò a rispondere lui, guardandomi strano.

Che pretendi, che rinizi a parlarti io, Mattia? Se non sbaglio, neanche tu hai avuto tanta iniziativa, nei miei confronti.

Dopo la Francia, non ci eravamo neanche parlati, nè un messaggio, uno squillo, un messaggio di fumo, niente. E poi la scuola era riniziata, ed è andata ancora peggio, il nostro rapporto era andato in discesa, o detta meglio, era andato a farsi fottere. Quella era la prima volta che eravamo costretti a stare insieme ed a parlarci, perchè durante i giorni appena passati, facevamo in modo di non stare in compagnia dell'altro: o andavo via io, o lui.

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