Capitolo 27

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Per festeggiare il fatto che adesso ero guarita e mi ero rimessa -in realtà no, ma in teoria stavo bene-, Cristian aveva organizzato una festa in una sala di un hotel, abbastanza grande da farci entrare tutte le persone della scuola -e non- che conosceva. L'aveva organizzata durante il ponte di Carnevale, così che il giorno dopo non dovevamo svegliarci presto per la scuola. Aveva imposto di travestirsi, per la festa, dato che era Carnevale, ed io ho passato le due settimane antecedenti «all'evento» -così l'aveva definita il ragazzo,presentandola come il film dell'anno- a cercare un cavolo di costume adatto.

Cristian aveva organizzato la festa non solo per divertirsi lui -perchè era in astinenza, poverino, e sentiva il bisogno-, ma anche per far svagare me: sapeva che ero pensierosa, e voleva tirarmi su il morale, dato che sapeva il mio amore per le feste.

«Ancora non mi hai detto da cosa ti vesti stasera» borbottò Cristian, sistemando un amplificatore.

«Se non te l'ho detto, forse è perchè non voglio che tu lo sappia» lo guardai ovvia.

«Ma io te l'ho detto che mi vesto da diavolo, sei ingiusta» incrociò le braccia al petto.

«No, sei tu che non sai stare zitto» gli scompigliai i capelli, finendo di sistemare gli alcoolici sul tavolo.

«Eddai..» mi abbracciò da dietro, poggiando il mento sulla mia spalla.

Faceva degli strani ghirigori sulla mia pancia con la punta delle dita, i suoi caplli mi solleticavano la guancia, e le sue labbra lasciarono un leggerissimo bacio proprio sotto l'orecchio.

Perchè quel bastardo conosceva i miei punti deboli?

«Sei insistente» sospirai, poggiando le mani sulle sue «fai il bravo, altrimenti se poi ti senti male quando mi vedi, mi tocca raccattarti da terra»

Speravo che avesse inteso il mio indizio -Cristian di solito capiva al volo-, infatti mi scoccò un bacio sulla guancia e prese a scrivere al telefono, che poi ripose nella tasca posteriore dei jeans: mi sorrise complice, per poi riprendere a sistemare le luci, sapendo che ne aveva combinata un'altra delle sue.

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Federico mi aveva detto che sarebbe venuto, ma ci credevo poco. Ci speravo, ma era altamente improbabile. Era venuto a trovarmi poche volte quando stavo all'ospedale -certo, ogni volta mi portava un mazzo di fiori, ma Klaudia, Cristian e i ragazzi erano praticamente fissi lì- perchè «avevo da fare, scusami, mio zio è in coma, sta per lasciarci», ed ovviamente la famiglia prima di tutto. Non volevo fare false supposizioni, perciò repressi il pensiero che forse mi avrebbe deluso di nuovo.

Mi stavo preparando nel bagno dello stanzone con Valentina e Silvia -Klaudia e Francesca dovevano fermarsi a casa della seconda per recuperare un nonsochè di utile-, avendo categoricamente proibito ai ragazzi di entrare -stavano bussando da tipo 45 minuti solo per sbirciare i costumi, ed avevamo inoltre coperto la serratura, era uno spiraglio da cui vedere-, tanto erano curiosi ed assillanti - io avevo berciato contro di loro un trilione di volte, ma non accennavano a demordere.

«E' tanto che non vedo Federico, sarà qualche anno, forse un paio» commentò Valentina, finendo di applicare l'ombretto.

«Io lo incontrai l'estate scorsa, e per poco non gli sputai in faccia» Silvia fece una faccia schifata «però, se sei in pace con te stessa e sei convinta di stare con lui, allora non lo picchierò a sangue»

Sono tutto fuorchè in pace con me stessa, tutto fuorchè convinta di stare con lui. Ero più incasinata che mai.

La mia testa era un groviglio di pensieri contrastanti che non se ne volevano andare, pensieri che non ci dovevano essere, e altri che non capivo perchè c'erano. I miei sentimenti per Federico erano un po', come dire, strani forse, perchè non era stato minimamente presente per me quando ho avuto bisogno, non solo ora, ma anche negli anni addietro, dato che era proprio lui la causa del mio malessere.

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