capitolo 4

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La luce.
Violenta. Fastidiosa. È la prima cosa che mi inonda gli occhi appena mi sveglio.
Svegliarsi.
Non sento suoni. Solo un fischio acuto che mi tormenta. Minaccia di aprirmi in due il cranio.
Cos'è successo?
Dove sono?
Cerco di aprire gli occhi. Mi sento debolissimo. Non riesco a muovermi. Sono disteso sulla schiena. I rami degli alberi pendono su di me. Come delle braccia pronte a sollevarmi da qui. Ma sono sicuro che non lo faranno.
Girò gli occhi. Un dolore tremendo mi invade il cranio. Come un animale che minaccia di distruggermi il cervello e poi uscire dalle tempie.
Dove sono?
Cerco di alzarmi. È un impresa. È come se tutti i muscoli del mio corpo stiano per strapparsi. Riesco a mettermi in ginocchio. Guardo davanti a me.
Alberi.
È una foresta fitta. Tante foglie. Le radici si intrecciano tra loro nel terreno. I tronchi mi circondano.
Poi ricordo.
Ieri notte.
Il folle. L'incendio. Papà. I cadaveri. La fuga.
I ricordi mi martellano nella mente come una tempesta.
Ho corso. Sono caduto e ho urtato contro qualcosa. Non so dire quanti metri ho percorso. O chilometri. Sono perso. Nel nulla. Lontano da casa. Non ho piu una famiglia.
Sono solo.
La tristezza mi invade. Non devo lasciarmi andare. Ma non posso. Non rivedrò più Ashley. Non abbraccierò la mamma. Non giocherò con Jace. Niente di niente. Morirò solo. Mi sento sempre più triste.
E alla fine crollo.
Urlo in preda alla tristezza. Alla disperazione. Incomincio a piangere. Le lacrime mi bagnano la faccia. Singhiozzo. Un pianto disperato. Non sono coraggioso. Sono terrorizzato. Non sopravviverò. Non riesco a smettere di piangere. Non posso. Non rivedrò più il viso di mia madre. Dei miei amici. Mio fratello. Jace. Ucciso con un colpo di pistola e poi bruciato. Come se non contasse più niente. Urlo.
Smetto di piangere. Di colpo. Devo fare qualcosa. Se devo morire non morirò piangendo. Questo è poco ma sicuro. Devo essere coraggioso. Devo tornare a casa. Dai miei amici e da Ashley. Prenderla tra le braccia e dirgli ce l'ho fatta tesoro. Sono qui per te.
Ma per farlo devo arrivare in città. E per arrivare in città ho bisogno di percorrere l'intera foresta. E non credo che sia piccola. Per niente.
Stanotte devo aver percorso circa una trentina di metri.
Cerco di alzarmi. Intorno a me si muove tutto. È tutto un vortice. Sto in piedi a malapena. Mi fa male la testa. Cado. Sbatto la faccia contro il terreno. Mi rialzo a fatica. Per terra è pieno di foglie. Mi viene da vomitare. Ma trattengo. Non riesco a camminare.
Dopo un paio di tentativi riesco a rimanere in piedi e camminare quasi decentemente. Il fischio nelle orecchie è quasi del tutto sparito.
Ora capisco. Ieri notte sono scivolato lungo un pendio e sono finito in una specie di valle nel terreno. Devo aver sbattuto la testa su de le rocce cadendo. Ce ne sono parecchie su per il pendio. Rocce grandi e bianche.
Devo incamminarmi. Non devo fermarmi se voglio arrivare in città. Non posso perdere tempo.
Ma poi me ne accorgo.
La maglietta.
È zuppa di sangue.
È dappertutto. Ce l'ho addosso, sulla maglietta, sugli scarponcini e perfino in faccia. Le ferite sono ancora aperte. Umide. Posso morire dissanguato. O possono infettarsi. Devo curarmi. Ma non adesso. Ora devo andare.
Le mie cose sono sparse attorno a me. Lo zaino è a circa un metro e mezzo da me. L'arco è ai piedi del pendio. La faretra con le frecce ce l'ho ancora in spalla. Prendo lo zaino. Devo ancora vedere cosa c'è dentro. Pesa parecchio.
Apro la zip. Odore di fumo. All'interno, oltre alle mie provviste e all'accetta, ci sono due pennarelli, uno rosso e uno blu, un accendino, delle puntine in una scatola di plastica e un libro.
Frugo un po di più all'interno dello zaino. C'è una doppia tasca. Infilo la mano all'interno e tocco qualcosa di duro. Uno schermo.
Niente di particolarmente utile. Apparte l'accendino.
Rettangolare. Argenteo. Proprio come quello del folle che ha bruciato la mia famiglia. Può servirmi.
Frugo un po di più all'interno dello zaino. C'è una seconda tasca. Infilo la mano all'interno e tocco qualcosa. Qualcosa di duro. E piatto. Anzi due cose dure e piatte. Le tiro fuori.
Due telefoni cellulari.
Impossibile. Ho due telefoni. Touch screen.
Forse sono libero.
Premo il pulsante di blocco. Lo schermo si accende. La batteria è al settantanove percento. È bloccato da una password. Perfetto.
Accendo l'altro. L' immagine di una ragazza bionda appare come schermo.
Malia.
È il suo telefono.
Chissà dov'era adesso.
Morta. Probabilmente.
La batteria di questo telefono è al trenta percento. Però posso sbloccarlo tranquillamente dato che non ha una password. Non sono mai stato bravissimo con la tecnologia. Ma non importa.
Il telefono è pieno zeppo di sue immagini. Lei in montagna, lei al mare, lei con suo padre, lei con gli amici e robe così. Era veramente carina. Non puo essere. Non puo essere morta. Ma devo accettare la realtá.
Devo accedere alla rubrica. Posso provare a chiamare il 911 per farmi ritrovare. O Ashley. So il suo numero a memoria. Posso provare. No, meglio di no. Non posso farla preoccupare. Ci manca soltanto che sappia che sono perso in un bosco da solo. E che sono ferito. E i miei genitori sono morti in un incendio. No. Decisamente non devo chiamarla.
Trovo il 911 sulla rubrica. Chiamo. Squilla. C'è una possibilità. Posso uscire da qui è tornare in Colorado. Ce l'ho fatta.
Rispondono.
"Pronto 911 chi è che parla?" È un uomo che parla.
"Salve. È un emergenza. Sono un ragazzo e mi sono perso in un bosco."
"Okay. Stai calmo. Definisci perso"
"Sono da solo in un bosco. Vicino Charlotte. I miei genitori sono morti in un incendio ieri notte."
L'uomo parla spazientito. Qualcosa non quadra.
"Senti ragazzo. Non ci piacciono i vostri scherzi. Finitela o dovremo intervenire. Siamo qui per lavorare."
E poi riattacca.
Ma perché? Come poteva essere uno scherzo. Può un ragazzo scherzare su queste cose? Sono perso! Come faccio a scherzare? Ho perso la possibilità. Urlo. Sono arrabbiato. Devo farcela da solo. Devo anche sbrigarmi.
Mi alzo. Ancora un pò intontito. Devo trovare una direzione in cui andare. Davanti a me. Una striscia di terra dove gli alberi si fanno più distanti tra loro. Le radici giganti nel terreno. Tutto è avvolto da un velo d'ombra. Tutto è un po spettrale. Anche di giorno.
Devo almeno provare ad avvicinarmi alla strada. In modo da seguirla fino ad arrivare al paese. Ma chissà quanto ero lontano dalla strada. Per quanto ne so potrei essere lontano chilometri.
Proseguo. Attraverso i tronchi degli alberi. I miei piedi sollevano la polvere da terra. Una polvere che si dissolve nell'aria con uno sbuffo. Mi sento deciso. Devo andare in città. Devo tornare da Ashley.
Gli alberi sono circondati da prati. Prati con erba lunga e soffice. Che ti arriva alle ginocchia. E io mi sento vincitore. Anche se so che non lo sono. Non ancora. Devo prima uscire da qua. E poi sarò vincitore. Il paesaggio è bellissimo. Una distesa d'erba sconfinata. Con alberi che fanno da contorno. Peccato che Ashley non sia qui per vederlo. Comunque non mi ricordo di averlo visto venendo con la macchina. Devo essermi allontanato un po. Un bel po.
Il sole sta tramontando. Quando mi sono svegliato devono essere state le due o le tre del pomeriggio. E dato che siamo a Novembre, il sole va via presto. Ho deciso. Mi accampo qua.
Il colore arancione del tramonto fa da ottima cornice al paesaggio.
Probabilmente stasera dovrò fare un fuoco. Se non voglio morire congelato.
Meglio cercare della legna.
Prendo lo zaino e lo apro. Frigo in tutto quel macello e tiro fuori l'accetta.
Non l'avevo mai notata bene.
Era bella. Il manico di legno giallino e il metallo di un nero opaco. Era pesante.
Mi incammino tra gli alberi e gli arbusti e trovo due piante di nocciolo. Le abbatto con l'accetta e le spezzo in tante piccole parti.
Le porto nell'accampamento. Mi ero accampato al limitare del prato. In mezzo ai pini. Al confine tra foresta e quella distesa d'erba sconfinata. Li butto a terra e incomincio a creare un falò con dei sassi e i pezzi di legno. Ci aggiungo anche un po di fango e aghi di pino. Il fruscio dei pini è rilassante. Ma non devo perdermi in chiacchiere. Devo accendere questo fuoco.
Dalla tasca esterna dello zaino, tiro fuori l'accendino. Provo una volta ad accendere il falò. Niente. Riprovo. Niente. Cavolo. Riprovo. Niente. Ma quanto può essere difficile accendere un fuoco? Mi sto spazientendo.
Il buio sta calando.
Fa freddo. Parecchio.
Riprovo.
Scintilla. E poi la fiamma. Rossa. Guizzante. Calda. Ci sono riuscito.
Dopo un po mi siedo accanto al falò. Le tenebre sono calate. Devo mangiare qualcosa.
Dallo zaino tiro fuori un barattolo di zuppa di fagioli. La annuso. Ha un buon odore. È ancora calda. Non ho nemmeno bisogno di un cucchiaio. La butto giù. Piano. Ho davvero fame. Ha un sapore squisito. Ho bisogno di forze. Mandò giù anche l'ultimo sorso. Davvero buona. Il resto è per domani. Oppure per altri giorni. Spero di non dover restare altri giorni.
L'oscurità è ovunque adesso. Avvolge gli alberi e i rami che svettano nel cielo. Come per richiamare qualcosa. O qualcuno. Rimango seduto li.
A guardare l'unica luce presente. Il fuoco.
Ripenso a tutto. Tutto quanto. A quanto è successo velocemente. A quanto poco ci vuole per passare dal tutto al niente. Ieri a quest'ora avevo di tutto. Ora non ho nulla. La vita ci mette davvero poco a portarti via qualunque cosa ami.
Volgo lo sguardo al cielo. Spero che mi vedano. Mamma. Jace.
Papà.
Aspetta. Papà.
Cavolo. Me ne sono dimenticato.
La lettera.
Mi ricordo all'istante. Papà mi aveva dato una letterina di carta gialla prima di essere inghiottito dalle fiamme. Aveva detto "leggila quando sarà il momento". Non vedo momento più opportuno.
Infilo la mano in tasca in preda alla curiosità. Eccola. La tiro fuori.
È ancora perfettamente piegata.
La apro.
Le lettere sono in corsivo e sono scritte con un inchiostro nero.

Matthew
Se leggi questa vuol dire che sono morto. Non ti preoccupare per me.
Sicuramente ora mi odierai. Ma capiscimi.
L'ho fatto per misericordia. Avrebbero ucciso anche loro. Jace. La mamma. Non sono senza cuore.
La lettera l'ho scritta a te perché so che sopravviverai solo tu. Mi sono sempre fidato di te. Sempre.
Matt. Io so tutto. Tutto quanto. Tutto quello che sta per succedere. Devi sapere tutto.
Lo so che mi hai sempre visto come una persona sicura di se e senza problemi. Ma non è così.
Sono un fallito.
È stata la compagnia. La compagnia di lavoro. I miei colleghi. Sono stati loro che mi hanno ucciso. E avrebbero ucciso anche la mamma e Jace.
E anche te. Ma se stai leggendo questa vuol dire che sei vivo e che combatterai.
Loro. Mi hanno ucciso perché avevo un torto con loro. Non importa che tu lo sappia.
Importa che tu sappia un altra cosa.
Ci hanno derubato. Mi hanno derubato. Ci hanno rubato tre milioni di dollari. A tutti noi.
Matthew. Ti affido solo un compito.
Recupera quei soldi.
E fagliela pagare. Fargliela pagare.

Mi tremano le mani.
Sudo.
Che cosa ho appena letto? Che vuol dire che ci hanno derubato? Mi metto a dormire. Ma non ci riesco. Non posso evitare di pensare a tutto questo. Perché i colleghi di mio padre ce l'avevano con lui? Cosa aveva fatto? Erano stati loro che lo hanno ucciso.
Quel folle.
Faceva parte dell'azienda.
Ma papà aveva ragione. Devo riprendere quei soldi. E devo fargliela pagare. A tutti i costi.
La foresta produceva molti rumori. Il fruscio delle foglie. Rumori di animali. Gli alberi illuminati dal fuoco avevano un aria spettrale.
Fuoco.
È quello che mi scorre nelle vene. Bollente. Il mio corpo viene invaso da un calore improvviso.
Devo vendicarmi. Ma non tanto per mio padre.
È per me.
Mi hanno rovinato la vita. Hanno ucciso i mio padre. Mi hanno allontanato da Ashley. Da casa.
Il mio sguardo si perde nel buio.
Vendetta.
Prima che morirò in solitudine avrò la mia vendetta.

deep shadow - a.g.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora