XI - Una notte con il custode

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Non credeva che il musicista potesse mai riuscire a trovarla, non avendo in nessun modo fatto sì che la sua identità trapelasse: era stata molto prudente su questo, fin quando i due assassini non avevano pronunciato una frase in particolare su suo padre.

Se uccidessimo direttamente l'investigatore Thomson ci eviteremmo un sacco di problemi.

Alease aveva sgranato gli occhi, si era fatta scappare un mugolio: aveva, in un certo senso, lasciato intuire il suo nome.

Era forse stato un dettaglio tanto importante da catturare l'attenzione del musicista?

Aveva firmato da sola la propria condanna a morte?

Si ritrovò a urlare subito dopo aver scorto una figura sospetta e incappucciata sul balcone della sua stanza: pregava che le sue grida di terrore potessero catturare l'attenzione di qualcuno – a parte suo padre, naturalmente –, ammettendo per la prima volta a se stessa la sua incapacità di difendersi in modo efficace.

Il suo orgoglio soffriva in silenzio, mentre Alease cercava di decidere sul da farsi: la sua insicurezza era tale da annullare tutti i suoi pensieri, rendendola un corpo privo di razionalità e in balia del panico più totale.

Poi, però, l'intruso alzò una mano con una certa fretta e si tolse il cappuccio del mantello dal volto: occhi azzurri e allarmati la osservarono in silenzio, accompagnati da una smorfia di disappunto disegnata fra le labbra.

Il ragazzo scosse la testa, al limite dell'incredulità, e guardò Alease come se la sua reazione fosse stata decisamente esagerata.

Lei sentì con chiarezza il proprio cuore saltare un battito: non era il musicista, non stava per morire; e forse il suo urlo non era nemmeno durato abbastanza da insospettire la servitù, o perlomeno sperava che fosse così.

Con un sospiro profondo e un sorriso sul volto, Alease si alzò dal letto e andò ad aprire la finestra: Jadus continuò a fissarla con la stessa espressione di prima, finché non decise di ricambiare il sorriso e stringerla a sé.

Il calore delle coperte fu subito sostituito da quello delle sue braccia, mentre la notte attorno a loro li proteggeva da sguardi indiscreti con il suo manto scuro e infinito.

Alease aveva la bocca premuta contro la sua spalla quando gli disse: "Per un attimo ho davvero temuto il peggio".

Jadus scoppiò a ridere e il suo petto tremò di conseguenza. "Chissà perché, ma lo avevo intuito". La prese per le braccia e la allontanò quel tanto che bastava da poterla guardare negli occhi. Nonostante l'ombra del sorriso ancora presente sul suo viso, aveva un'espressione seria e preoccupata mentre aggiungeva: "Devo parlarti".

A quella frase, Alease avvertì un groppo in gola di pura preoccupazione. "Dimmi".

Jadus strinse le labbra e rilassò le spalle, per poi entrare insieme a lei nella sua stanza: non poteva essere assolutamente certo che tutta la servitù stesse dormendo, nonostante l'ora indecente, e voleva evitare che il suo discorso potesse anche solo essere ascoltato da qualcun altro.

Si sedette con Alease sul soffice divano bianco della camera e poggiò un braccio sulla testiera, in una chiara posizione di tranquillità che contrastava in un modo quasi doloroso con il suo sguardo allarmato.

"Rispondimi con sincerità", cominciò con tono serio. "Ti senti pronta ad affrontare il musicista?".

Sì. No.

Forse.

Non lo so.

Alease strinse le labbra per evitare di esporgli tutti i suoi pensieri e abbassò subito gli occhi sulle mani di lui, in un vano tentativo di sfuggire alla sua domanda e per evitare che indovinasse la risposta semplicemente guardandola in faccia.

Lilium: Il Sortilegio del Calice d'OroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora