Spring day 12

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«Buongiorno famiglia!» saluto di buon umore appena arrivo in cucina. Mia madre prepara la colazione e mio padre è intento a leggere il giornale, sembra quasi che nulla sua mai stato, come se fosse tutto sempre uguale.

«Sono davvero contento che sia tutto come prima» esclama Josh con il sorriso prima di uscire, mi mancava molto. Entrambi avevamo perso il sorriso dopo quello che era successo, ma sembra che in fondo tutto si possa ritrovare.

«Posso sapere una cosa?» chiedo appena il mio fratellino lascia la stanza.

«Certo, dimmi Lily» che bello sentire di nuovo la voce squillante di mia madre. «Dove siete stati?» alla mia domanda i due si guardano con aria colpevole.

«Non è importante» mormora mio padre affondando il naso nel giornale. «Sì, lo è» ribatto io aggrottando la fronte.

Dopo alcuni minuti di silenzio mi arrendo. "Chissà cosa gli è capitato. Non mi stupisce che non vogliano parlarne. Eppure... qualcosa non mi quadra".

«Devo uscire con Christian» prendo la giacca e stampo un bacio sulla guancia di mia madre. «Voglio che mi racconti tutto» esclama scherzosamente lei guardandomi uscire.

Mi incammino con Siddharta sotto il braccio. Ho finalmente finito di leggerlo, per la quarta volta. Mi sento vicina al protagonista di quella storia.

Credo di aver imparato finalmente cosa sia l'amore. L'amore è quello che non ti aspetti, quello che ti fa star male da impazzire, ma che quando hai bisogno è proprio lì, insieme a te.

Vedo Christian intento a ridipingere l'interno della casa.

«Stupendo, forse un tantino verde» ridacchio notanto la vernice verde smeraldo che si asciuga su una delle pareti.

«Non so, è un colore che mi piace, mi sembra di avere il bosco che c'è fuori anche dentro casa» spiega lui soffiando su una ciocca di capelli che gli pende sul viso. Lo aiuto portandogliela dietro l'orecchio «Signor Christian Dean, le ho riportato il libro da lei tanto consigliato» dico con un grande sorriso ed ironia.

«Quando sarei diventato signore? Puoi metterlo dov'era?» chiede continuando il suo lavoro. «Certo. Eppure lei mi sembra più grande stamattina» rispondo cercando il posto prefissato per quel piccolo volume.

«Ah» esclama Christian facendomi sobbalzare «Ieri sera ho fatto una cosa» mormora buttando il pennello del secchio di vernice «Vieni».

Lo seguo al piano superiore, nel sottotetto. Lo spettacolo è meraviglioso, un letto enorme con una coperta indiana stesa sopra, delle piante in un angolo, tanti e tanti colori, una lampada cinese vicino al letto e molte file di lucine che disegnano archi pendenti dal soffitto. Tutto è in ordine, ma disordinato allo stesso tempo. É una caratteristica che ha sempre contraddistinto Christian, in ogni cosa che fa c'è una logica, anche se è contornata da un mondo di confusione.

«Wow» sussurro godendomi per un attimo lo spettacolo. La luce entra da due finestrelle che si affacciano sul lago.

«Ti piace?» chiede vedendo la mia espressione meravigliata.

«Caspita, è stupendo» mi volto e lui è dietro di me. «Grazie» ribatte sporcandomi di vernice sul naso. Scoppia a ridere e contagia anche me.

Mi sento leggera, come mai prima. Nessuno stupido gioco di parole, tensione sessuale o sbalzi d'umore, solo Christian.

«Ho pensato servisse, così se vuoi restare non sei costretta a dormire sul divano come faccio io» spiega lui aprendo le braccia. Lo abbraccio forte all'improvviso «Vuoi dirmi che continuerai a dormire su quel vecchio divano?» chiedo alzando un sopracciglio, sarcastica.

«Spero di no» replica con un sorriso malizioso ed io ricambio con lo stesso sguardo. Gli stampo un bacio sulle labbra, casto e veloce.

«Bene mettiamoci al lavoro» esclamo correndo giù per le scale. Lascio la borsa in un angolo e prendo un pennello.

Dopo quasi due ore la parete è del tutto dipinta e finalmente ci fermiamo per fare una pausa. «Grande lavoratrice, signorina» mormora ironico Christian.

«Che facciamo adesso?» chiedo facendo una smorfia, ma lui alza le spalle. «Ho capito, ci penso io» continuo prendendo tutto il mio coraggio. Gli prendo la mano e faccio sì che mi segua fino al piano superiore, sento che mi stringe la mano leggermente più di prima.

«Che hai?» domando guardandolo negli occhi, noto della preoccupazione nella maniera evasiva con cui si guarda intorno.

«Io non so...» balbetta Christian in un misto tra perplessità e timidezza.

«A cosa stai pensando?» chiedo con un tono più rassicurante possibile «Puoi dirmelo».

«Non voglio rovinare tutto» mormora senza rispondere del tutto alla mia domanda. «Cosa potresti rovinare» mi stringo nelle spalle. Inizia a balenarmi in testa la stupida idea che non mi voglia, almeno non quanto io lo voglio. Gli accarezzo una guancia nel tentativo di sdrammatizzare, ma evidentemente peggioro le cose.

«Dovremmo pensarci, tutti e due» sussurra con un espressione rattristata sul volto. Eppure non capisco, a cosa dovrei pensare?

«Perchè fai così? Hai troppa paura di essere felice forse? O forse non sono io quella che cerchi? Dimmelo, dimmi qualcosa» esclamo scoraggiata ed esasperata.

All'ennesima sua occhiata al pavimento decido di andarmene, è troppo.

«Quante altre volte dovrò andarmene prima che tu tenti di fermarmi?!» lo guardo un altro istante prima di lasciarlo ai suoi pensieri.

Sulla strada di casa noto per la prima volta come gli alberi stiano tornando verdi e Dublino stia riacquistando i colori della primavera. Erano successe talmente tante cose negli ultimi tempi che non avevo più goduto della bellezza della mia città.

Mi fermo a comprare un frullato in uno dei miei posti preferiti e finalmente arrivo a casa. Josh non c'è, ma ho l'occasione di parlare con mia madre.

«Com'è andata la giornata?» domanda lei con un sorriso affettuoso, quanto mi erano mancati.

«Con i suoi alti e bassi» mi stringo nelle spalle, non so se ho voglia di parlarne, non voglio affrontare questo discorso proprio adesso che è tornata.

«Mamma, perchè tu e papà siete spariti per così tanto tempo?» esordisco facendola sobbalzare. Ha proprio l'aria di qualcuno che nasconde qualcosa, ma non so se sono pronta a sentire la verità.

«Non so se siamo pronti a parlarne, ma oggi è una bella giornata... dove sei andata?» cerca di sviare. Non aspetto un altro istante, ricordo della giacca che non mi appartiene e decido di prenderla, sapevo che tenerla si sarebbe rivelato utile. «Questa deve essere tua» mormoro lanciandogliela. Sul viso di mia madre appare un espressione che mai avevo visto prima, colpevolezza.

La afferra, ma si irrigidisce. «Sai quando mi è venuto il dubbio che voi non foste scomparsi? Alla seconda telefonata, la tua. Poi, quando mi dato la giacca al parco ho capito tutto» spiego con serietà. Mi sembra strano sentire questo ad alta voce, avevo cercato di autoconvincermi che fosse solo una bugia, ma evidentemente non è così.

«Josh non...» bisbiglia lei esitante, i capelli le coprono il viso. «No, non sa nulla e non glielo dirò finchè non sarete voi a farlo, ma una tale bugia non me la sarei mai aspettata da voi» concludo con la voce tremolante, ho voglia di piangere. Salgo le scale e corro nella mia camera.

Butto la testa sul cuscino e piango fino ad addormentarmi, sfinita.


Violet burns.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora