IX

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Oggi ho deciso di andare a scuola a piedi. Dopo quello che è successo, non ho più tanta voglia di prendere l'autobus.
«Guarda dove vai,idiota»
Non mi sono neanche accorta di aver attraversato la strada senza guardare.
«Scusa» sussurro.
Guardo di sfuggita la moto che mi stava per investire. La vernice è nera e lucente, dello stesso colore della tuta del suo conducente. Quest'ultimo indossa un casco, la visiera è abbassata e ovviamente non riesco a vedere il suo viso ma non credo di conoscerlo.
Non perdo tempo e ricomincio a camminare verso scuola.
«Fermati.» La sua voce risulta distorta. Appartiene sicuramente ad un uomo. È profonda, risoluta.
Non gli do retta e continuo a camminare.
Sento il motore della moto spegnersi completamente.
«Ti ho detto di fermarti.»
Aumento la velocità. So quando non ci si deve fidare di una persona, soprattutto se non la conosci e ti sta gridando dietro.
All'improvviso mi manca l'aria. Qualcosa mi stringe la gola e mi impedisce di respirare. Istintivamente porto le mani al collo cercando di liberarmi ma non trovo niente se non la mia pelle. Decido di cercare aiuto ma quando provo a muovere le gambe non succede niente. Sono inchiodata sul posto. La morsa incorporea sul mio collo stringe sempre di più. Inizio a graffiarmi il collo nel tentativo di liberarmi. Dei passi mi raggiungono da dietro e non ho dubbi su chi possa essere.
«Ho provato a chiederlo gentilmente,sai. Non mi piace chi disobbedisce.» Si è tolto il casco. Quello che ho davanti a me è il volto di un ragazzo. Ondulati capelli marroni gli sfiorano le spalle. Due occhi neri mi fissano di rimando.
«Adesso ti lascio andare. Non provare a scappare o dovrò iniziare ad usare le maniere forti.»
Riesco solo ad annuire debolmente.
Non appena la presa scivola via dalla mia gola mi lascio andare a dei respiri profondi. Le ginocchia mi cedono e cado sull'asfalto probabilmente ferendomi le ginocchia. «Chi sei?» La voce è rotta dallo sforzo che mi procura riempire i polmoni. Bruciano.
«Ho tanti nomi, tanti volti quante sono le mie personalità. E tu? Cosa sei? Riesco a percepire il potere di un angelo in te anche se in piccola quantità. Però sembra essere bloccato. Bloccato da... qualcosa di umano. Mi incuriosisci.»
Inizia a girarmi intorno. Mi osserva ed io seguo ogni suo movimento con lo sguardo.
«Sai, credo proprio che sia una cosa che non ti riguardi.»
L'occhiata che mi lancia mi fa gelare il sangue nelle vene ma faccio finta di niente.
«Se fossi in te smetterei di provare a fare la coraggiosa. Soprattutto se quello a cui ti stai rivolgendo sono io. » Si avvicina ed il mio cuore inizia a battere velocissimo. Il tono minaccioso della sua voce non mi è di certo sfuggito.
«Davvero? Altrimenti?»
Ormai è vicinissimo. I nostri volti sono a pochissima distanza fra di loro. Quando parla, il suo respiro mi sfiora l'orecchio.
«Vuoi scoprirlo? Ma aspetta. È paura quella che sento? A giudicare da quanto batte forte il tuo cuore credo proprio di sì.»
Cerco di calmarmi. Ci provo con tutte le mie forze ma non ci riesco. C'è qualcosa che non va. Ho perso il controllo sul mio corpo. Non risponde ai miei comandi.
«Lasciami andare.» Gli ordino.
Appena le parole escono dalla mia bocca, vengo scaraventata a terra.
«Mossa sbagliata, mia cara.»
Un ghigno appare sul suo viso mentre io sono ancora a terra.
«Cosa vuoi da me, eh?» Mi passo le dita su una guancia e quando le ritiro sono sporche di sangue.
«Voglio sapere chi sei.»
A questo punto sono io a sorridere.
«Prima tu.»
«Come ti ho già detto ho tanti nomi e diverse identità. Ma puoi chiamarmi Harley.»
Per poco non scoppio a ridere. Harley? Come la moto?
«Bene, piacere di averti conosciuto, Harley. Adesso devo andare ci vediamo in giro.»
Mi volto dandogli le spalle. Non faccio in tempo a fare un passo che la sua mano mi artiglia il braccio.
«Tu non te ne vai se prima non me lo dici. Hai capito?» Mi stringe contro il suo petto e non mi muovo. Devo scappare.
Poi capisco cosa fare. Vuole giocare ed io ho tutta l'intenzione di vincere la partita.
«Va bene.» Mi rigiro e lo fisso negli occhi. Siamo ancora vicini.
Per un momento sembra sorpreso, poi un angolo della sua bocca si alza.
«Sapevo che avresti ceduto. Hai una personalità così debole...»
Mentre parla faccio scorrere una mano sul bordo della sua guancia. La pelle non è perfetta, piccole cicatrici fanno la loro comparsa sotto le mie dita. I suoi occhi diventano ancora più scuri. Smette di parlare e la mano che tiene sul mio fianco inizia a stringere la presa.
Sta funzionando. Aspetto il momento giusto e poi attacco. Una ginocchiata al punto giusto lo fa contorcere dal dolore ed io ne approfitto per scappare. Non mi fermo finché non sono al sicuro. Le porte della scuola si chiudono dietro di me. Mi fermo un attimo per riprendere fiato. Il corridoio è vuoto. Tutti devono essere a lezione, ormai. Non avrebbe senso entrare in classe adesso che la lezione è già iniziata, quindi mi dirigo in cortile.
Una volta fuori mi appoggio al muro e chiudo gli occhi. Immagino un'altra vita. Un altro mondo. Senza demoni, angeli o Protettori. Poi una strana sensazione mi risveglia. Apro gli occhi e mi guardo intorno. Damon è vicino a me e ha una sigaretta in mano. Con movimenti costanti la porta alla bocca per poi fare uscire il fumo che va ad incorniciargli il viso.
«Non sapevo fumassi.»
Riprendo la sua stessa frase. Sembra accorgersene perché un sorriso fa la sua comparsa sul suo viso.
I suoi occhi verdi incontrano i miei per qualche secondo poi sembrano essere distratti da qualcos'altro.
«Cos'hai fatto al collo?» Tiene la sigaretta in bocca mentre con le mani esamina la parte in questione.
«Niente.» Mi ritraggo in fretta maledicendomi per aver dimenticato dei graffi che mi sono fatta prima.
Per qualche strano motivo c'è qualcosa che mi blocca dal parlargli dell'incontro con quello che sono sicura fosse un demone.
«Non ti preoccupare è solo un'eritema o qualcosa del genere...»
Non mi ha creduto. Lo so.
Poi ci penso. Se avesse spostato un po' di più i capelli avrebbe visto qualcos'altro. Dentro di me l'istinto combatte contro la ragione. La mia parte razionale mi spinge a parlargliene, sicura che lui ne sappia qualcosa, mentre quella più impulsiva mi incita a restare in silenzio. Taccio.

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