XXVII

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«Voglio portarti in un posto.» sussurra. Le nostre labbra sono ancora così vicine che ad ogni parola si sfiorano.
Ci guardiamo negli occhi e per un attimo perdo in la cognizione del tempo. Non so cosa vedo o cosa sento, tutto sembra sparire per un attimo per poi tornare più forte di prima.
Distolgo lo sguardo per fare ordine nei mie pensieri ma quello che vedo li confonde ancora di più.
In piedi vicino alla sua macchina, c'è Damon. Le sue iridi verdi sembrano farsi più scure del solito quando posa gli occhi sulle mie labbra. Le mani strette in pugni, sembra furioso.
Mi aspetto che mi raggiunga ma si limita ad entrare in macchina sbattendo con rabbia lo sportello e schizzare via.
Da quanto tempo era lì? Quanto avrà visto?
Ma soprattutto, cosa ci faceva qui?
Mi ricordo di Harley solo quando mi porge il casco.
Continuo a torturarmi le labbra, ancora piacevolmente doloranti, anche quando lasciamo il parcheggio. Il vento mi sferza il volto e mi sento così leggera che potrei volare via.
Mi appoggio forte alla sua schiena cercando di assecondare il più possibile con il corpo il movimento del veicolo.
Sento solo il rumore assordante del motore e il calore del suo corpo.
«Più veloce» urlo per farmi sentire «più veloce».
E all'improvviso mi accorgo di tutto.
Di come le ruote macinano metri su metri come se fossero niente, dell'odore di bruciato che il vento mi porta alle narici, del sole che va e viene senza rendere conto a nessuno e di come gli occhi iniziano a bruciare dopo averli tenuti aperti per troppo tempo con questo vento.
Ma mi spavento quando mi rendo conto di come questo viaggio assomiglia tanto alla scena finale di un film. Dobbiamo solo recitare le ultime battute.
Mi faccio coraggio e dal suo ventre sposto le braccia più in su , risalendo con le dita che gli sfiorano la schiena e arrivano alle sue spalle.
"Non penso più a nulla", vorrei gridare.
Mi guardo intorno ma non scorgo oggetti ben definiti, solo macchie di colore che si mescolano come in un quadro impressionistico.
Ci fermiamo di fronte ad un palazzo dall'intonaco grigio.
Non vedo crepe sui muri o tubature arrugginite. È tutto in ordine. Tranquillo.
«Cosa ci facciamo qui?»
Mi aiuta a scendere mentre mi tolgo il casco.
«È una sorpresa.»
Non so perché ma una strana sensazione mi attanaglia lo stomaco.
«Vieni?»
Harley è già al portone e sta armeggiando con la serratura.
«Arrivo.»
Entriamo e per un attimo rimango senza parole.
È tutto così tranquillo. Così in ordine.
È una strana sensazione.
Nuova.
È come se ogni cosa fosse esattamente dove dovrebbe essere.
«Ti do il benvenuto nella mia umile dimora.»
Il suo fiato mi accarezza l'orecchio cogliendomi alla sprovvista. Non mi ero accorta di quanto si fosse avvicinato.
Il mio sguardo si posa sul divano al centro della stanza, sulla piccola televisione, e sulla libreria.
«Mi hai portato a casa tua?»
«Già. Adesso vieni, ti offro da bere.» Sta per avanzare in direzione dell'altra stanza quando si ferma e si gira a guardarmi.
«Se vuoi.» Sembra essersi fatto esitante adesso. Come se avesse paura di aver fatto qualcosa di sbagliato.
«Certo.»
Mi rivolge un piccolo sorriso.

Sembra passata un'eternità da quando siamo arrivati ma sono sicura che sia solo qualche ora.
Le lattine di coca cola giacciono sul tavolino, vuote.
Abbiamo parlato.
E parlato.
E parlato ancora.
Siamo passati dal confidarci i nostri segreti più imbarazzanti a parlare del nostro film preferito.
E mi sembra di conoscerlo da una vita.
Mentre siamo seduti qui, su questo divano, mi accorgo di come non cerca scuse per toccarmi.
Lo fa e basta.
Accarezza il dorso della mano, una guancia, il lato del collo.
E quando la sua pelle sfiora la mia, il battito del mio cuore aumenta e non posso fare a meno di arrossire.
Mi ritrovo a fissare un punto fuori dalla finestra.
Si è fatto buio e non ho neanche detto a Selene che avrei passato il pomeriggio fuori.
«Si è fatto tardi. Sarà meglio che vada.»
Mi alzo e inizio a spolverarmi la parte anteriore dei jeans per togliere briciole inesistenti.
I nostri occhi si incontrano.
Sta per dire qualcosa ma viene interrotto dal suono del campanello.
«Rei, potresti buttare quelle lattine nel cestino che c'è in cucina mentre io vado ad aprire la porta? Grazie mille.»
Trovo il secchio con facilità e dopo essermi lavata le mani decido di rendermi utile lavando quei pochi piatti che trovo nel lavandino. Nel frattempo suoni confusi arrivano dal soggiorno. Sembra che Harley stia discutendo con qualcuno.
«Eirene. È una gioia rivederti.»
La voce si è fatta più vicina adesso.
E il proprietario è proprio dietro di me.
Il bicchiere che stavo lavando mi scivola dalle mani quando capisco di chi si tratta.

N/A:
Scusate il ritardo! Non trovavo l'ispirazione🐭

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