XXIX

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Non so cosa mi aspettassi, ma quando il coltello trapassa la carne non provo altro che dolore.
Ha mirato dritto al cuore e forse l'ha mancato per un soffio.
È successo tutto in un secondo.
Quando il sangue ha iniziato a bagnarmi la felpa grigia, Dimitri ha sgranato leggermente gli occhi. Sembrava stesse osservando la scena da un corpo altrui, come se non fosse stato lui a tirare quel coltello.
Vorrei tendere le labbra in un amaro sorriso ma i muscoli non reagiscono più ai mie comandi.
Harley, che era rimasto a guardare tutto dal fondo della sala, si avvicina frettolosamente. Tende le mani verso di me e quando estrae il coltello, il sangue bagna anche le sue dita.
Ha un'espressione sconvolta, il volto pallido e mormora qualcosa che non riesco a sentire perché ormai l'unico rumore che percepiscono le mie orecchie è quello dei battiti sempre più lenti del mio cuore. Le palpebre pesano come macigni.
Sono stanca di lottare.
L'ultima cosa che vedo è Damon che butta giù la vecchia porta.
Prima nota il sangue.
Poi il mio volto pallido.

Un'ombra furiosa si impossessa del suo sguardo e la lama nelle sue mani sembra diventare improvvisamente l'arma più pericolosa al mondo.
          

Al mio risveglio vengo accolta da una flebile luce.
Non è fastidiosa.
Ho ancora l'impressione che il buio mi sia rimasto ancorato alla pelle.
Due figure si pongono davanti ai miei occhi.
Ti stavamo aspettando, dicono.
Due donne dai capelli di mille colori e dagli occhi dorati.
Le loro tuniche leggere le avvolgono come nuvole.
Mi prendono per mano, con delicatezza mi accarezzano la testa.
Mi sussurrano all'orecchio che va tutto bene, che andrà tutto bene.
Non posso fare altro che annuire e chiudere di nuovo gli occhi aspettando che il dolore abbandoni le mie ossa.

Potrebbero essere passate ore, oppure giorni.

«Come ti senti?»
Daphne è impegnata a spazzolarmi i capelli mentre siamo sedute sul letto.
I suoi movimenti sono lenti e rassicuranti. Mi fanno sentire a casa.
«Bene.» Lascio scivolare via la bugia dalle mie labbra accompagnandola con un sorriso.
Parlare dei miei sentimenti è proprio l'ultima cosa che voglio fare in questo momento, così cambio argomento.
«Dov'è Chloe?»
Con un sospiro mi racconta che essendo la Gratia della giustizia è quella fra di noi che ha più lavoro da svolgere. La giustizia è il valore più difficile da far comprendere agli umani. Ed è quello che meno viene rispettato.
Mi prendo qualche minuto per riflettere sulle sue parole.
Ripenso a Dimitri e ai Protettori e non posso fare a meno di trovarmi d'accordo con lei.
«Lo sai, mi ricordi tanto Elodie.»
Il cuore mi si stringe nel petto a sentire il nome di mia madre.
«Anche lei odiava parlare di ciò che provava. Anche se non stava bene, si teneva tutto dentro.»
Sto per ribattere, dire che non è vero che anch'io faccio così ma mi fermo.
Ha ragione.
Daphne non dice niente.
Si alza e va a posare la spazzola.
Qualche secondo dopo mi ritrovo fra le sue braccia.
«Sei molto coraggiosa, Eirene. Proprio come lei.»
Vorrei gridare che non è vero, che non sono coraggiosa ma soltanto stupida.
Una grande stupida che si è fidata delle persone sbagliate e che ha fatto scelte sbagliate, che non è  riuscita a proteggere nè le persone a cui voleva bene nè se stessa.
Daphne mi ripete all'orecchio che andrà tutto bene adesso e che non resterò più sola perché ci saranno lei e Chloe con me.
La abbraccio riconoscente mentre finalmente le lacrime trattenute per così tanto tempo vengono liberate.

La notte arriva presto.
Sogno la mamma e il papà.
Quando li rivedo, scoppio a piangere.
Il cuore si fa pesante come un macigno.
Però alla fine li lascio andare.
Prendo un respiro profondo e gli dico addio.
Poi mi sveglio.
Di nuovo.

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