XVI

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«Eirene, ascoltami.
Devi stargli lontano.
Vi farete del male.
L'ho visto, ho sentito il vostro dolore.» Abbasso lo sguardo mentre con rabbia inizio a giocare con le dita delle mani che tengo in grembo. Mia madre è qui, davanti a me. Parla della sua visione, del futuro di cui io sarò protagonista.
Sembra essere stato già tutto scritto.
«Elodie, sarebbe impossibile, lo sai...» La nonna con la mano le accarezza il braccio tentando di farla ragionare. «Sono solo bambini.».
«Carol, in tutti questi anni hai visto la sua anima perdere il suo colore originario, quel bianco candido non c'è più. È grigia. Scura.
Dov'è finita la mia bambina?»
Lacrime iniziano a rigarle il viso mentre si rifugia tra le braccia della donna al suo fianco.
Vorrei dirle che sono ancora qui ma le sue parole sembrano aver formato un nodo che mi impedisce di parlare.
Così rimango in silenzio.
«Ieri sera abbiamo preso una decisione. Ce ne andremo questa sera. Tu sarai l'unica a sapere la nostra destinazione. Anche se non approvi, sappiamo che non ne farai parola con nessuno. Giusto, Carol?»
La nonna sospira, rassegnata. Sa di non aver voce in capitolo. Però la capisce. Forse anni prima lei avrebbe fatto lo stesso.
«Se questo è quello che volete, lo farò. Però, Elodie, figlia mia, sappi che la troverà. Si sono scelti.»
Vedo mia madre guardarmi come se fosse la prima volta da quando sono entrata in quella stanza.
Poi il suo sguardo si fa distante.
Stringe le mani in due pugni.
«Lo so. E adesso ti prego, falle dimenticare tutto.»
L'ultima cosa che vedo è la mano sinistra della nonna che si avvicina alla mia fronte.

Mi sveglio e sbatto le palpebre per abituarmi alla luce che entra dalla finestra.
È già mattina.
L'ho sognata.
Piangeva.
Era bella come ricordavo.
Eterea.
Ricordo anche le mie di lacrime,però.
La paura che ho provato quando mi hanno detto che saremmo andati via.
La rabbia quando ho capito che avrei dovuto lasciarlo.
Ho ricordato o semplicemente immaginato?
Scendo giù per fare colazione.
Un altro biglietto della nonna attaccato al frigo, un'altra scusa.
Passo l'intera domenica davanti alla TV con le solite schifezze in una mano e il telecomando dall'altra.
Sento la porta aprirsi e sollevo gli occhi dallo schermo.
Il rumore delle chiavi che vengono poggiate nello svuota tasche è facilmente riconoscibile.
«Ciao, nonna.» Quasi sorpresa mi saluta con un cenno della mano, gli occhi stanchi e il viso tirato dallo stress.
«Eirene, pensavo fossi uscita. Hai visto il mio biglietto?» Si sfila la giacca marrone e la poggia sul divano per poi dirigersi in cucina.
Facendo leva sui talloni mi alzo e la seguo.
«Già. Come sta la tua amica?»
Per un attimo riesco a scorgere l'espressione confusa sul suo volto.
«Ehm, sì... Sta bene. L'hanno dimessa oggi.» Mentre parla di versa del succo all'arancia che avevamo in frigo in un bicchiere.
La mano trema.
«Ah.» prendo un respiro profondo.
«Sai, ti ho sognata oggi.» Il rumore del bicchiere che va in frantumi mi impedisce di dire altro.
I vetri spiccano taglienti sulle mattonelle del pavimento ed il succo sembra formare quasi un lago intorno ad essi.
Mormorando quelle che mi sembrano parole di scusa la nonna si affretta a tirare fuori da sotto il lavandino uno straccio.
«Che cosa hai visto?» Il suo tono di voce è basso, distante.
«Bè... C'era anche la mamma. Parlavate di andare via, mi voleva allontanare da qualcuno ma non so bene chi, non l'ho capito. So solo che ero arrabbiata e... triste. La mamma piangeva. E anche io.»
La vedo rialzarsi da terra e buttare via lo straccio.
«Non era un sogno.»
Non mi guarda negli occhi.
«Era un ricordo. Un semplice ricordo.»
Prende il mio silenzio come un invito a continuare.
«Quello che sogni... è la verità. È successo veramente.»
Si appoggia con le mani al bancone come se parlarne le costasse uno sforzo enorme.
«È colpa mia. So che non avrei dovuto ma i tuoi genitori pensavano fosse necessario.»
«Necessario per cosa?»
I suoi occhi per la prima volta incrociano i miei.
«Per tenerti al sicuro.»
Un'altra pausa che sembra durare un'eternità.
«Avremmo voluto dimenticassi tutto per sempre ma li avevo avvertiti. Glielo avevo detto che sarebbero ritornati, che avresti ricordato. Egoisti. Non c'è altro modo con cui tu possa definirci. Ti abbiamo privato della tua infanzia. Di quei momenti in cui eri felice. E lo eri davvero, Rei. Io c'ero quando sorridevi in quel modo. Quel sorriso sdentato che ti arrivava da un orecchio all'altro. Così... tenero. Avremmo voluto stringerti tra le nostre braccia per tutto il tempo. Ma sbagliammo e ce ne accorgemmo troppo tardi. Abbiamo fatto l'errore di fermarci all'apparenza, in un certo senso.
Quando abbiamo visto l'aura che emanavi di solito così bianca e pura scurirsi, ci siamo spaventati. Non sapevamo cosa stesse succedendo. Pensavamo fosse qualcosa di... pericoloso. Iniziammo a credere che la sua compagnia ti facesse del male, ti corrompesse. Però in realtà non avevamo capito: quei sorrisi erano tutti rivolti verso di lui. Era lui la causa delle tue risate, della tua felicità. E noi ti abbiamo portato via. Vi abbiamo separati. Messi alla prova.  Sapevamo che i vostri piccoli cuoricini avrebbero sofferto fino al momento in cui non vi sareste ritrovati.»
La nonna sembra sempre più debole e vorrei abbracciarla, confortarla ma non riesco a muovermi.
«Chi è?» Sappiamo entrambe di chi sto parlando.
«È un demone. L'unica cosa che mi ricordo di quel bambino è che apparteneva ad una famiglia reale. Figlio di Asmodeo. Aveva una piccola macchia a forma di fiamma proprio qui» Con il dito mi indica l'avambraccio sinistro.
Quasi sovrappensiero faccio lo stesso.
Ritraggo subito la mano.
«Io... P-penso che andrò a letto, adesso.» Le volto le spalle e inizio ad avanzare verso la mia stanza.
«Eirene! Aspetta. I-»
Mi chiudo la porta alle spalle smorzando il suono delle sue parole.

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