XIII

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«Ehi, raggio di sole, serve un passaggio? » Ignoro l'orribile nomignolo che il ragazzo mi ha appena affibbiato e gli sorrido.
«Volentieri.» Appena entro nella macchina mi investe un forte odore di tabacco. Lo sconosciuto ha dei grandi occhiali da sole che non mi lasciano intravedere i suoi occhi.
I capelli biondi sono tagliati corti e sul viso c'è solo un accenno di barba. Sarebbe carino se non avesse quest'aria da tossico.
Mette in moto e ci allontaniamo dal viale. Mando veloce un messaggio a Selene. Non voglio che si preoccupi. Anche se so che salire in macchina con uno sconosciuto è il migliore modo per farsi uccidere, o rapire, violentare...
Poi mi ricordo di non aver dato l'indirizzo al ragazzo.
«Va bene per te lasciarmi davanti scuola?» Non mi fido a dirgli dove abito. È pur sempre uno sconosciuto.
«Nessun problema.» Mentre viaggiamo, guardo fuori dal finestrino. La strada non è quella che ricordavo. So per certo che questa non è la direzione giusta.
«Guarda che la scuola è dall'altra parte della città.» La sua espressione non cambia.
«Tranquilla, so quello che faccio.»
Aggrotto le sopracciglia. Un campanello d'allarme inizia a suonare nella mia testa.
«Ma n-» Improvvisamente devo coprirmi le orecchie. Il ragazzo ha alzato la musica, che prima fungeva solo da sottofondo, ad un volume altissimo.
Anche se provo a protestare, le mie parole vengono sovrastate dal rumore dello stereo.
Nel frattempo cerco di capire dove siamo realmente diretti. Abbiamo lasciato il quartiere dove si trova la scuola da tempo, ormai. Non sono stupida. Ho capito che questo ragazzo ha altre intenzioni.
Quando ci ripenso mi manca l'aria. La macchina sembra richiudersi su se stessa. L'abitacolo mi soffoca sempre di più. Provo ad aprire lo sportello della macchina ma è chiuso. Non c'è via di fuga. Continuo a tirare la maniglia dello sportello come se così facendo la portiera si aprirà magicamente.
Un attacco di claustrofobia non era quella che ci voleva.
«Maledizione! Sta calma, ci siamo quasi.» Il ragazzo continua a lanciarmi occhiate distogliendo per qualche secondo lo sguardo dalla strada.
«Lasciami andare!» gli urlo contro.
«Non posso, ci stanno aspettando.»
Continuo a maledirmi. Il fatto di essere una creatura angelica finora non mi ha portato che guai. Demoni che mi aggrediscono, ragazzi spuntati dal nulla che mi rapiscono... E adesso che mi servirebbe un qualche potere per aprire questa dannata porta, il soprannaturale non viene in mio aiuto.
«Ci siamo.» Il motore si spegne con un lamento. Il ragazzo esce dal veicolo per poi fare il giro ed aprirmi la portiera. Vedendo che non ho intenzione di scendere, mi prende per un braccio e mi tira fuori.
«Ehi!» Non mi ha fatto male ma la violenza non mi è mai piaciuta.
Sbuffa e mi ordina di seguirlo.
Vedendo che non ho intenzione di muovermi si mette dietro di me e mi spinge avanti tenendo una mano sul retro del mio collo. Mi irrigidisco immediatamente ma comincio a camminare.
Mi guardo intorno. Non mi aspettavo niente di diverso. Un vecchio vicolo. Lampioni grigi. Vecchi manifesti ormai ridotti in brandelli. Strani fumi provengono da alcuni tubi arrugginiti. Sembra lo sfondo di uno di quei film ambientati nei quartieri di New York. Una porta di ferro dipinta di nero attira la mia attenzione.
«È lì che dobbiamo entrare?» gli chiedo rompendo il silenzio che si era creato.
«Perspicace.» Sbuffa quasi spazientito. Sono tentata di tirargli una gomitata alle costole ma mi ricordo della posizione sfavorevole in cui sono in questo momento e mi trattengo.
Quando finalmente raggiungiamo la meta, sono sorpresa nel vedere che la porta non è chiusa a chiave. Mi aspettavo qualcosa come una parola d'ordine.
«Va' avanti.» Sbuffo ma faccio come dice.
L'interno è immerso nel buio e fa un caldo infernale.
Il ragazzo però sembra sapere esattamente dove andare e presto spuntiamo in un corridoio scarsamente illuminato da led. Mi giro per osservare il mio rapitore. Non si è ancora tolto gli occhiali da sole. La pelle sembra più pallida di come la ricordavo. Tiene lo sguardo fisso davanti a sé e mentre una mano è sempre sul mio collo, l'altra è stesa lungo il fianco. Tiene stretto nella mano qualcosa. La debole luce non è abbastanza forte da farmi vedere bene. Però mi sembra una lama. Un coltello.
Deglutisco e riporto lo sguardo davanti a me.
C'è un'altra porta, questa volta chiusa da un lucchetto. Il ragazzo lascia la presa per occuparsene. Infila la punta dell'arma nella fessura e questa scatta. La porta si apre con un cigolio.
Sono sorpresa ma non lo lascio a vedere. Avevo pensato che servisse qualcosa di più tradizionale come una chiave ma mi sbagliavo.
Riprende la sua posizione di prima dietro di me e varchiamo la porta. Quello che ho di fronte non è assolutamente ciò che mi aspettavo. Lunghi tendaggi blu elettrico ornano l'ingresso di una stanzetta riccamente decorata da mobili e tappeti.
«Siediti.» Mi indica un divanetto di pelle bianco al centro della stanza.
«Sul tavolino di fronte a te ci sono caramelle o cose del genere.
Mentre aspetti non puoi uscire da qui. Anche se ci provassi non ci riusciresti. Cerca di passare il tempo senza rompere niente. Intesi?» Incrocio le braccia al petto.
«Non ho due anni. Non vado in giro a sfasciare le cose a mio piacimento e non mangerò le tue stupide caramelle.» Di certo non mi faccio trattare come una ragazzina.
«Come ti pare.» dice ed esce dalla stessa porta da cui siamo entrati che si richiude dietro di lui.
Mi siedo in maniera poco aggraziata sul divanetto e sbuffo. Non capisco dove mi trovo e non so cosa ci faccio qui. Perché rapirmi per poi rinchiudermi in una stanza del genere?
Tirai fuori il cellulare maledicendomi per non averci pensato prima.
Ovviamente non prende. Posso dire addio al l'unica speranza che avevo di scappare. Però posso vedere che ore sono: le 16:40. Pensavo fosse più presto.

Passo quasi due ore senza fare nulla, quando sento la porta aprirsi.
Fa il suo ingresso un uomo con un pesante giaccone nero. Mi chiedo come faccia a resistere con tutto questo caldo.
«Eirene. È un piacere per me conoscerti.» Lo osservo senza rispondere. Deve avere una cinquantina d'anni. Ha corti capelli brizzolati ed occhi scuri come la notte. La camicia rosso sangue che ha indosso spunta fuori dal giaccone.
«Io sono Dimitri. Grande amico di tuo padre.» Appena gli sento pronunciare queste parole mi irrigidisco. Non voglio fargli capire quanto mi abbia colta di sorpresa ma lui sembra accorgersene comunque.
«Ed è così che tratti le figlie dei tuoi amici? Rapendole?»
Scoppia a ridere.
«Più o meno.»
Non smette di fissarmi e la cosa mi sta facendo innervosire non poco.
«Lo sai, gli assomigli molto.» Cerco di non farmi scalfire da quelle parole ma non ci riesco.
Il cuore mi si stringe in una morsa.
«Allora, Signor Dimitri, mi vuole spiegare mi ha fatto portare qui contro la mia volontà?» chiedo non tentando neanche di nascondere tutta la mia ostilità nei suoi confronti.
«Sì, gli assomigli proprio.» dice mentre mi gira intorno scrutandomi.
Mi alzo dal divanetto con uno scatto. Stare seduta mi fa sentire debole.
«Perché sono qui?» chiedo di nuovo.
«Accomodiamoci, non c'è bisogno di restare in piedi.»
Faccio come dice soltanto perché così si sbrigherà a parlare.
«Eirene, sarò sincero con te. C'è una taglia sulla tua testa ed io voglio quei soldi. Hai un qualcosa che ammalia i demoni. Un profumo delizioso. C'è chi farebbe di tutto per averti. Quest'aura eterea che emani li spinge ad amarti o ad odiarti fino ad impazzire. È nel loro istinto.»
Per qualche minuto non so cosa dire. So che potrei affogare in tutte le domande che mi vengono in mente.
«Quanto è la ricompensa che riceverai?» chiedo.
«Seicento.»
Per poco non scoppio a ridergli in faccia.
«E fai tutto questo solo per seicento dollari? Non potresti fare qualcosa di più semplice tipo trovarti un lavor-»
La sua voce mi interrompe. Sembra stia iniziando ad innervosirsi.
«Seicentomila dollari.»
Non parlo più. La forza di farlo è scomparsa. Come posso valere così tanto? Chi è che sarebbe disposto a pagare una somma del genere per una persona?
Solo adesso realizzo in che situazione mi trovo. Sono stata rapita. Verrò venduta come una specie di schiava ed ho paura soltanto ad immaginare cosa mi succederà.
«Chi è che mi vuole?» Temo la risposta.
«Non ha nome. Nessuno l'ha mai visto. Ma è potente. Più potente di quel che pensi.»
Fa per alzarsi però lo fermo. Voglio sapere come fa a conoscere mio padre.
«Aspetta. Come fai a conoscere mio padre?»
Si gira e mi guarda.
«Eravamo nella stessa squadra.»
Quando esce si richiude la porta alle spalle.
Sono senza parole. Anche lui era un protettore.
Una solo termine sembra lampeggiare nella mia mente: traditore.

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