XXVIII

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«Dimitri.» sussurro.
Il suo sguardo sembra bruciarmi la pelle ovunque si posi.
«Sai, una volta mi chiamavi "zio".»
Esce dalla stanza mentre la verità come la conoscevo crolla al pari di un castello di carte.
Ed io vado giù con lei.

Muri grigi.
Pavimento nero.
Freddo.
Polsi e piedi legati.
Nessuna possibilità di movimento.
Tutto ciò che sento.
Tutto ciò che vedo.
Tutto ciò che so.

«Mi chiedevo cosa ci trovassero davvero in te quei demoni. Tutti quei soldi... Non erano uno scherzo.
Non ho mai conosciuto tua madre. Tuo padre non me l'ha mai presentata. E dire che eravamo fratelli.
Però ti ho visto quando eri piccola. Ti sono venuto a trovare diverse volte senza che lui lo sapesse. Ti portavo sempre una corona di fiori. E mi chiamavi "zio D" ti ricordi? No, probabilmente no. Carol ha messo le mani nella tua testa.»
Le sue parole mi arrivano come un eco distante, come se i'non mi trovassi davvero qui, in questa situazione.
Non apro gli occhi.
Voglio convincermi che sia solo un incubo.
Nient'altro.

«Non sai che piacere è stato per venire a sapere che eri già stata marchiata. Nessuno si libera di me tanto facilmente.»
Sbatto le palpebre e aspetto che la vista si abitui alla semioscurità. Dimitri è girato di spalle e non vedo altro che la sua schiena ma so che è lui.
«Come sta Carol? Spero che si sia ripresa.»
Riesco quasi ad immaginare come abbia sollevato un angolo della bocca in un ghigno.
Abbasso la testa e ciocche di capelli mi cadono davanti al viso.

«Ovviamente non ce l'avrei mai fatta senza l'aiuto di Harley, bravo ragazzo. Eravate sempre insieme da più piccoli.»
Al solo sentire pronunciare il suo nome, il cuore nel mio petto urla di dolore.
E vorrei mettermi a piangere per l'ennesimo tradimento.
«Ma dovrei ringraziare soprattutto suo padre. La ricompensa che aveva promesso è stata pagata e adesso mi ritrovo con seicentomila dollari in più sul mio conto. Non è fantastico?»
L'ironia celata nella sua voce non mi sfugge.

«Mi dispiace,Rei. Mi dispiace tanto.» Sentire la voce di Harley è come ricevere un pugno allo stomaco. Le sue parole giungono alle mie orecchie come mormorii distanti.
Gli dispiace.
Gli dispiace e basta.
Come se non mi avesse appena legato i polsi ad una sedia in questo vecchio scantinato.
Come se non mi avesse abbandonato anche lui.
Dimitri osserva il tutto dal fondo della stanza. È appoggiato alla parete con le braccia incrociate ed un sorriso soddisfatto sul volto.
«È meglio così. È meglio così.» il demone continua a ripetere, come se dovesse convincere più lui stesso che me.
«Puoi restare a guardare, principe. Solo se vuoi, è ovvio.»
Mi concedo di guardare Harley per un'ultima volta mentre raggiunge il punto in cui pochi secondi prima c'era Dimitri. Mio zio. Il fratello di mio padre. Ancora non ci posso credere. O meglio: non voglio crederci.

Devo schiarirmi la gola un paio di volte prima di parlare.
«Che cosa vuoi da me?»
A malapena riesco a sentire la sua risposta.
«Niente che tu non mi possa dare.»
Rimaniamo in silenzio per un altro po'. Lui non si muove ed io non riesco ad alzarmi dalla sedia su cui sono seduta.
«Harley in questo caso non ha voluto collaborare. Forse non lo sa neanche lui. Ma è bastato fare qualche ricerca,sai?»
Con le mani sfiora i contorni del libro che tiene in mano.
«Le surnaturel: Demons-Anges.
A dir poco interessante per essere stato scritto da un umano, non credi?» Ne guardo la copertina:
il titolo in caratteri argentati risalta sullo sfondo nero.  Nessun altro particolare la orna.
Nonostante io non l'abbia mai letto, sembra familiare. Non c'è il nome dell'autore nè l'anno di pubblicazione. Nella mia mente vedo mani sfogliarne le pagine per poi riporlo su uno scaffale. Aggrotto le sopracciglia mentre cerco di capire il motivo per cui quel genere di libro sia potuto finire tra i miei ricordi.
«Ti starai certamente chiedendo del perché io lo abbia letto e la risposta è semplice: volevo di più. Sapevo che non avrei trovato la risposta che cercavo tra le mie conoscenze che per la prima volta si sono rivelate inutili quanto incorrette. Infatti da quel che mi ricordavo, ad un protettore e ad una creatura angelica di alto livello era stato vietato procreare. Una decisione presa di comune accordo da tutti gli schieramenti,sia chiaro. Sapevano benissimo che il frutto di quell'unione sarebbe stato qualcosa di troppo potente da arrestare una volta nato.»
La nonna non mi ha accennato niente riguardo a questo divieto.
Continua a parlare mentre cammina per la stanza.
«P-potente?» Rabbrividisco.
«Oh, Eirene. Pensaci per qualche secondo. Conosci, o almeno immagini, la potenza che il sangue angelico possiede ma quella di un Protettore è a te sconosciuta. Ebbene, dimentica ali, magia o pozioni, qui si parla di un'anima che si è creata la sua forza da sola. Un Protettore, una volta chiamato a compiere il suo dovere, deve forgiare dal nulla determinazione, volontà e potenza. Il percorso da lui compiuto quindi porta a compimento un suo sviluppo interiore, un rafforzamento. Il Protettore può contare solo su se stesso; è questo che lo rende tanto prezioso quanto indispensabile. Immagina il sangue di uno di loro entrare a contatto con la luminosità e l'imponenza di quello angelico: il risultato sarebbe davvero temibile. Però qualcosa non quadra in te. Sono certo che uno dei tuoi genitori sia un Protettore, posso sentirlo dalla forza che emani ma mi manca l'altra metà del disegno. La tua bellezza, la tua anima bianca parlano per te, Eirene. Una percentuale di sangue angelico scorre nelle tue vene. Ma non ne riesco ad intuire la provenienza. Da chi discendi? Quanto sei potente? Mi chiedo se tu non sia un ostacolo per me ed il mio mondo. E, mia cara, gli ostacoli, così come i pericoli, vanno eliminati fin da subito.»
Quando si gira non vedo altro che il coltello che ha il mano.
Poi mi perdo nei lineamenti del suo volto che mi sembrano così familiari.
L'abisso nel suo sguardo, la sua imponente muscolatura. L'oggetto nelle sue mani sembra brillare di luce propria. Smetto di respirare ed indietreggio con il busto. Le mani sono legate e le gambe immobili.
Chiudo gli occhi e dietro alle mie palpebre parole sono marchiate a fuoco.
"E così sia."

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