-8. Vecchie conoscenze-

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«Così è questo ora il modo di divertirsi? ...Tutte ammassate e danzanti in un esiguo spazio vitale» pensò ad alta voce il giovane fermando la moto nel parcheggio e sfilandosi il casco. Erano appena le undici di sera.

Aveva prenotato una stanza in un albergo in centro città, il più bello e costoso e quello che senza dubbio non si sarebbe messo a fare domande per i suoi orari o per le persone che sarebbero potute entrare o uscire, ma soprattutto era sicuro avrebbero tenuto la sua presenza un fatto riservato a solo pochi dipendenti, come da lui richiesto.

All'inizio era rimasto ad osservare la situazione, non era sicuro di cosa lei avrebbe fatto. Pensava che avrebbe intuito la sua presenza e sarebbe scappata via, costringendolo a rimettersi in cammino ancor prima di poter godere dei pregi della città. Con sua sorpresa invece era rimasta e non sembrava voler andar via tanto presto visto che aveva perfino trovato un lavoro.

Vista la situazione favorevole, ne aveva approfittato per fare un bagno caldo, mettersi qualcosa di pulito addosso e cenare, era lontano nella sua memoria un giorno tranquillo come quello, ma era piacevole ogni tanto prendersi una pausa.

Scese dalla moto attirando l'attenzione di alcune ragazze che gli si avvicinarono. Lo affiancarono, una da una parte e una dall'altra, entrambe con vestiti fin troppo sgargianti e un sorriso che la raccontava molto lunga.

«Non sei di queste parti vero?».

«No, in effetti no».

Le due sorrisero facendosi ancora più vicine.

«Lo avremmo di certo notato un tipo come te». «Da dove arrivi?».

Sorrise angelico e con una mano allontano i capelli che gli cadevano sul viso. Le due sorrisero più di prima, non aveva dubbi che avesse fatto colpo su entrambe.

«Inghilterra».

«Un'inglese? ...» cominciò la bionda prendendolo a braccetto e passando le lunghe dita smaltate sulla giacca in pelle nera di lui «... Come mai così lontano da casa?».

«Curiosità e noia... Cercavo qualcosa di divertente da fare» ammiccò ad entrambe, ma non ne parvero infastidite.

«Vieni con noi allora... Non rimarrai deluso».

«Vi seguo».

Le due ragazze si fermarono davanti al buttafuori, saltando la coda come se neanche l'avessero notata, l'uomo, dopo una sbattuta di ciglia e un'occhiata un po' troppo lunga alla scollatura di entrambe, le fece passare senza problemi.

All'interno del locale la musica risuonava, ma dovette ammettere che non fosse del tutto sgradevole. Avrebbe certo preferito un luogo meno affollato e caotico, che gli permettesse di tenere tutto sotto controllo, ma ogni tanto distrarsi era utile quanto rimanere in allerta.

Le ragazze avevano puntato la pista da ballo, lui scivolò agilmente fra la folla e con un incredibile eleganza che colpì ancora di più le due accompagnatrici. Giocò un po' con loro e attirò anche gli sguardi di qualche altro, le donne quasi litigavano per ballare con lui e alcuni uomini gli lanciavano occhiate gelose, ma non se ne curava, era abituato ad essere al centro dell'attenzione di tutti e gli piaceva quella sensazione.

Poi però la vide.

Correva da una parte all'altra dietro al bancone, insieme ad un ragazzo più o meno della sua età, i capelli castani mossi le incorniciavano il viso, gli occhi grigi erano concentrati nel lavoro e le orecchie attente alle ordinazioni, poi sorrise. Si era dimenticato quanto fosse contagioso quel sorriso, se ne ricordò solo quando si sorprese a sorridere a sua volta.

«Dove vai?». Lo chiamarono le due ragazze, una facendo scivolare una mano nella sua.

Si guardò indietro, non si era accorto di muoversi nella sua direzione.

«Credo prenderò qualcosa al bar...» sorrise malizioso «...Ma avrete i miei occhi incollati addosso tutto il tempo».

Le vide arrossire nonostante le luci e si allontanò con un breve inchino, chiaramente mentiva, non era interessato a nessuna delle due, ma con un sorriso del genere era sicuro che avrebbe ingannato chiunque. Si diresse verso il bar agilmente e senza trovare ostacoli.

Iniziava veramente a fare caldo la dentro, sfilai un elastico dal polso che mi aveva prestato quella mattina Aggy e mi raccolsi i capelli con qualche ciuffo che rimase ad incorniciarmi il viso.

«Carina» esclamò Jack facendomi l'occhiolino, sorrisi.

«Grazie... Non so come resisti tu con quel cappello».

«Tutto allenamento e questo cappello...» volle sottolineare «...è il mio simbolo, non lo levò neanche sotto la doccia».

Risi e qualche cliente che aveva sentito, con me.

Ricevevo ordinazioni in continuazione, se non una al secondo c'ero comunque molto vicina ed ero così concentrata che non mi accorsi neanche di quella o di quel nome che in qualsiasi altro momento mi avrebbero dovuto mettere in allarme.

«Un Koslov... Liscio, senza ghiaccio ne sale»

Afferrai la bottiglia di vodka fin troppo familiare senza pensarci, presi il bicchiere e lo riempì fino a metà, aggiunsi una goccia di bourbon, uno spicchio d'arancia e lo lasciai scivolare sul tavolo. Solo quando ebbi finito notai lo sguardo interrogativo di Jack.

«Cos'era quello?».

Mi accorsi solo allora che perfino i clienti si erano fermati dall'ordinare e che l'attenzione di tutti era stata calamitata dal ragazzo biondo che sorseggiava il suo drink. Quando parlò nuovamente la sua voce mi suonò alle orecchie come un campanello d'allarme.

«Ottimo come sempre... Non ero sicuro sapessi ancora come mi piace».

Mi voltai verso di lui con gli occhi spalancati, mi sorrise angelico e innocente come nulla fosse i riccioli dorati gli cadevano appena sugli occhi, ma li spostò indietro con naturalezza, compiendo anche un gesto così comune con eleganza.

Indossava una camicia bianca che faceva risaltare la pelle lievemente abbronzata del viso e del collo, ma soprattutto la muscolatura delle braccia e del torace, ero sicura che per descrivere uno come lui qualcuno avesse coniato un nuovo termine. I pantaloni neri da motociclista e gli anfibi dello stesso colore, così come la giacca di pelle che aveva poggiato accanto a se sul bancone, non facevano che attirare l'attenzione su di lui, cosa naturalmente voluta.

I suoi occhi sprezzanti e arroganti dello stesso colore del mare in tempesta visibili anche in quel momento erano puntati nei miei.

«Nikolai...» sussurrai come se, nonostante i miei occhi lo avessero visto, la mia mente non ci credesse.

«Cominciavo a credere ti fossi dimenticata di me Heil... Non scrivi, non chiami... In questi ultimi cinque anni neanche un biglietto per il mio compleanno... Così ferisci i miei sentimenti».

Sorrise sornione e i suoi occhi mi scivolarono addosso per poi ritornare sul mio viso.

«Lo conosci?» sentì a mala pena la voce di Jack.

Ero così frastornata che non riuscii a rispondere alla sua domanda, ma Nikolai vi pose rimedio allungando una mano verso di lui, le lunghe e affusolate dita lasciarono il bicchiere per stringersi in quelle di Jack.

«Nik Olson... Siamo vecchi amici» disse con un sorriso studiato per tranquillizzare tutti, meno che la sottoscritta al quale risultò sgradevole.

«Jack Simons» sorrise lui ignaro di tutto.

«Devo prendere una boccata d'aria».

Jack annuì e prese il mio posto. In realtà avevo già tolto il grembiule ed ero scivolata sotto il bancone prima ancora di ricevere da lui una risposta affermativa. Però non mi fermò, probabilmente aveva visto la mia espressione e il mio colorito pallido.

Percorsi il tragitto dal bancone alla porta sul retro quasi in uno stato di trans, mi ripresi solo quando l'aria fredda della sera mi sferzò il viso e le immagini cominciarono ad affollarsi nella mia mente come pezzi di un puzzle.

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