-18. Dicembre 1995-

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Era la vigilia di capodanno.

Avevo fatto la spesa la mattina presto quel giorno e mi ero rintanata in casa per evitare i rumorosi festeggiamenti della serata. Abitavo in un piccolo appartamento al quinto piano di un palazzo, non era molto grande, ma c'era abbastanza spazio per una cucina, un bagno e un piccolo soggiorno che all'occasione diventava la camera da letto.

Da un piccolo balcone potevo avere una bellissima vista della città, lì in alto ero lontana dai rumori di questa che sarebbe rimasta sveglia ancora per molto.

Accanto al mio appartamento ce n'era un altro dove abitava una donna, Marisol, con la sua famiglia, il marito e tre bambini, mi avevano invitato a passare il capodanno con loro, ma avevo gentilmente declinato.

Tra tutte le feste era quella che odiavo di più, per me segnava solo la fine di un anno uguale a tutti gli altri, in cui nella mia vita non era cambiato nulla: non avevo trovato soluzione alla mia condizione, non ero riuscita a liberarmi di quel Cacciatore, né del doloroso ricordo della perdita di Gabriel avvenuta in quel giorno trentasette anni prima. Pensarci non mi faceva stare bene né aiutava, così tentavo di distrarmi nella speranza di allontanare quel ricordo.

Sentivo in lontananza il conto alla rovescia. Alzai il volume della radio con l'intenzione di ignorarlo, ma non era possibile. Dieci... Nove... Otto... Sette... Sei... Cinque... Quattro... Poco prima che si scandissero gli ultimi secondi sentii il suono del campanello, all'inizio pensai che fosse di qualcun altro, ma si ripete altre tre volte e quando i botti e i fuochi d'artificio iniziarono lo sentii nuovamente.

Mi avvicinai alla porta, Nikolai non era tanto infantile da fare scherzi del genere e i ladri tendevano a non bussare.

Osservai dallo spioncino, ma non c'era nessuno. Aprii la porta e mossi un passo nel corridoio andando a sbattere contro qualcosa sul pavimento.

All'inizio pensai fosse un cesto di frutta, ma quando mi inginocchiai per osservare meglio incontrai due grandi occhi verdi che mi fissavano incuriositi con un grande sorriso.

Sorpresa e confusa caddi per terra per un momento, il mio primo pensiero fu chiedermi cosa ci facesse un bambino in un cesto della frutta. Quando posai nuovamente lo sguardo sul piccolo, questo mi tese le braccia, doveva avere poco meno di un anno e continuava a guardarmi, senza piangere, ma sorridendo.

Allungarmi e prenderlo fu un gesto naturale, tanto quanto dondolarlo fra le braccia. Si rannicchiò contro il mio petto stringendo forte un lembo della camicia. Sorrisi, perché non avrei potuto fare altrimenti, tenere in braccio un essere così piccolo e fragile era una sensazione indescrivibile.

Bussai alla porta della mia vicina, durante qualche chiacchierata nel corridoio mi aveva detto di occuparsi di bambini in un istituto, lei avrebbe saputo cosa fare.

Mi aprii quasi subito, mi scusai per il disturbo provocato e gli raccontai cosa fosse successo.

«Davvero una cosa insolita...». Il marito la raggiunse poco dopo. «Cosa succede?».

«Qualcuno ha lasciato questa bambina in una cesta davanti alla porta di Violet...» lo aggiornò lei aggiungendo anche qualcos'altro, ma ero impegnata ad osservare la bambina dormire, ne ero quasi ipnotizzata che non ascoltai.

«Senti cara...» cominciò attirando la mia attenzione «... Domani possiamo portarla in ufficio e decidiamo cosa fare... Nel mentre posso...».

«Me ne occupo io» le parole uscirono dalle mie labbra quasi senza accorgermene.

Sentii lo sguardo dei due addosso, mentre io non riuscivo ad allontanarlo da lei e dal modo in cui si stringeva a me.

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