-9. Settembre 1234-

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Ero ad una festa, per esattezza la festa di fidanzamento di un amico a me molto caro.

Indossavo un abito lungo color caramello, un regalo dello sposo alla sua testimone, così come il bracciale che portavo al polso. L'avevo messo per l'occasione a cui avevo dovuto partecipare nonostante faticassi a tenere insieme i frammenti del cuore andato in mille pezzi una volta che ero venuta a conoscenza del lieto evento.

In quell'epoca per lui non ero nient'altro che quello, un'ottima amica a cui chiedere un simile favore, perché nessun altro avrebbe mai potuto conoscerlo bene come me.

Guardavo i due futuri sposi sorridersi e ricevere doni e congratulazioni, poggiata contro il fusto di una colonna che separava la grande navata centrale dai corridoi sui lati. Rimanevo in disparte, lontano da quella felicità che in realtà non mi apparteneva, abbastanza per impedirgli di accorgersi del mio dolore.

Un rumore improvviso e il brusio di alcune persone attirò la mia attenzione verso la porta principale, la quale era stata chiusa una volta che tutti gli invitati erano arrivati: ora invece era spalancata.

Mi sporsi appena incuriosita e desiderosa che qualcosa mi distraesse da quella vista, il corridoio era leggermente sopra elevato rispetto alla sala grande e riuscivo a vedere la scena: due soldati a terra e un giovane in ginocchio davanti ad una ragazza di forse qualche anno più grande alla quale somigliava, intorno a loro altre fanciulle e qualche curioso.

«Perché sei qui?» chiese lei incrociando le braccia, quel comportamento poteva solo voler dire che quello davanti a sé era un parente o qualcuno che conosceva bene.

Il giovane le prese la mano, alzando lo sguardo, due incredibili iridi azzurre su di lei, che non ne sembrò per nulla sorpresa a contrario di tutti gli altri.

«Non potevo stare lontano da voi un altro minuto...» la ragazza arrossi vistosamente «...La vostra bellezza mi distrugge, ma è la vostra assenza che temo».

Mi scoprii a sorridere, nonostante la giovane età dovetti ammettere che quel ragazzino ci sapeva fare con le parole.

Lei si sciolse in un istante, così come tutte le altre fanciulle lì intorno, per le quali non esisteva più nessuno se non lui.

"Quanto siete credulone" pensai con un sospiro.

«È il rampollo dei Koslov...».

«Ne ho sentito parlare... Il padre è un mercante inglese molto ricco e la madre una duchessa della Prussia, ovviamente i figli e il marito hanno preso il cognome materno, il gran duca non avrebbe mai acconsentito al matrimonio altrimenti».

I pettegoli erano sempre pronti a parlare in queste occasioni.

«La sposa è la più grande delle sue sorelle, ma il gran duca non considerava ancora pronto il ragazzo per un debutto in società, per questo non era invitato».

«Io ho sentito dire perché è solito combinare guai».

«Peccato però...» rispose una donna «... Se solo fossi qualche anno più giovane» sospirò facendo ridacchiare le altre due in sua compagnia.

I nobili e il loro mondo, nonostante il mio migliore amico fosse uno di loro, facevo estrema fatica a rimanere in loro compagnia. Mi allontanai poco interessata e ritornai ai miei cupi pensieri.

Il ragazzo aveva accantonato la sua lady per presentarsi a tutte le ragazze che lo accerchiavano come fosse un eroe appena tornato dalla guerra.

Passò qualche ora prima che la presenza del giovane si facesse risentire, per me ovviamente.

«Come mai quello sguardo triste?».

Riconobbi la voce allegra e angelica, quasi come se essa stessa ne suggerisse l'aspetto. Mi voltai, nonostante l'età era quasi alto quanto me e ne fui vagamente infastidita, come fece anche la sicurezza del suo sguardo e quel mezzo sorriso calcolato.

«Forse non sapete leggere le espressioni delle donne bene come credete signorino Koslov».

«Chiamatemi pure Nikolai... Siamo quasi di famiglia considerando che il vostro amico sposerà a breve mia sorella».

Si chinò appena e io feci altrettanto, ma solo per formalità.

«E mi rincresce dirlo, ma io non sbaglio mai».

«Come mai così incuriosito dall'umore altrui? ...Non avete altro che stuzzichi il vostro interesse?» domandai muovendo una mano verso il resto degli invitati.

Lui sorrise e allontanò lo sguardo fino a posarlo sui festeggiati.

«In realtà mi incuriosisce solo il vostro».

Lo osservai un poco sorpresa, ma non ci sarei cascata così facilmente.

«Perché mai dovreste essere incuriosito da me, quando ci sono dozzine di fanciulle che aspettano che il vostro sguardo ammaliatore si posi su di loro?» lo dissi con tutto il contegno possibile, ma non dovevo essere riuscita a trattenere efficacemente il mio fastidio perché lo sentii ridere.

«Mi preoccupo per voi signorina...» aspettava che gli comunicassi il mio nome o almeno il cognome, ma non intendevo fare nessuna delle due cose e ciò lo fece sorridere ancora di più «... Come testimone dello sposo dovreste essere radiosa, ma quella tristezza nel vostro sguardo tradisce l'affetto che dovreste provare per questa coppia felice».

Era già difficile stare lì a guardarli e sorridere ad entrambi quando rivolgevano uno sguardo nella mia direzione, il fatto che un ragazzino arrogante e viziato, che non poteva in alcuna maniera capire la mia situazione, fosse pronto a ricordarmi ciò che sentivo dentro, o la facilità con cui riuscisse a leggermi, era veramente snervante.

«Preferirei che voi non vi intrometteste né vi preoccupaste per me» ribattei acida e graffiante, più di quanto mi sarei aspettata da me stessa.

«Non era mia intenzione offendervi in alcuna maniera... Se l'ho fatto vi porgo le mie più sentite scuse».

Cercò di incontrare il mio sguardo, ma lo allontanai. Non mi sarei fatta dire da un ragazzino di appena quindici anni come mi sarei dovuta sentire, ero più grande, avrebbe dovuto portarmi rispetto. Ma nonostante la mia poca voglia di dialogare o di prestare attenzione alle sue parole continuò.

«Mi permetta solo un'ultima parola...» annunciò «...Non per mancarle di rispetto, ma come il consiglio di un gentiluomo che ha a cuore le vostre pene... Un'espressione come quella non attirerà lo sguardo di nessun uomo con un buon patrimonio in questa sala e rimarrete sola».

Da una parte avrei voluto rispondergli che in quella sala l'unica persona che avrei voluto mi rivolgesse il suo sguardo non lo avrebbe mai fatto nel modo che speravo io, dall'altra non potevo dargli la soddisfazione di aver capito come mi sentissi, dargli ragione era l'ultimo mio desiderio in quel momento. Così risposi con un'altra domanda.

«Toglietemi una curiosità allora...» cominciai facendo comparire la curiosità sul suo volto serafico «...Perché voi siete qui?».

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