- 25. Un vecchio amico

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Finì la bottiglia fino all'ultimo goccio, poi se la lasciò scivolare fra le dita e la colpì con un calcio. Questa si frantumò contro il tronco di un albero, mille schegge volarono da tutte le parti, ma lui non se ne curò.

Si sedette indifferente sulla panchina umida per la pioggia leggera che aveva appena smesso di scendere e stappò la sua terza bottiglia. Si trovava in un cimitero, di certo un luogo appropriato per l'umore di quel momento, il luogo dove i Cacciatori trovavano riposo e quella davanti a cui sedeva era la tomba di un amico che aveva perduto, non per colpa di una spada, ma per colpa di una morte lenta che lo aveva accompagnato nel tempo.

Per uno come lui, immortale da più di ottocento anni vivere una vita così breve non aveva più nessuna importanza, certo il suo amico l'aveva vissuta accanto all'unica donna che avesse mai amato. Sorrise, forse in questo modo il pensare di vivere una vita sola acquistava un sapore più dolce e invitante.

«Mi rendo conto che dopo tutto questo tempo tu possa aver deciso di non ascoltare più cosa ho da dire, ma le tue parole potrebbero aiutarmi».

Chinò il capo e sollevò la bottiglia in segno di omaggio.

La pietra viola che portava al polso brillò insieme a quella gialla e quando rialzò lo sguardo davanti ai suoi occhi comparve tutta un'altra visione.

Le colline che poco prima erano buie e deserte davanti ai suoi occhi ora erano luminoso e da tutte le parti si aggiravano grigie figure senza volto, silenziose e inespressive. Si muovevano senza vederlo indisturbate perfino dalla pioggia o dal vento.

«Non ti avevo detto che volevo riposare?».

Una figura quasi più viva delle altre si sedette al suo fianco pesantemente o l'avrebbe fatto se la sua anima avesse avuto un peso.

«Ogni volta mi stupisco di non vederti coi cappelli bianchi e la barba grigia, per non parlare del peso in più che avevi preso negli ultimi tempi».

«Non ero più un Cacciatore, cercavo di godermi tutti i piaceri delle vita, tra cui il buon cibo che mi preparava Mary... Se sei qui per insultarmi posso sempre andarmene».

Nikolai sorrise e gli porse una mano, il ragazzo al suo fianco ricambiò e la strinse con vigore, il bagliore della pietra gialla aumentò per qualche momento poi tornò normale. Il giovane non era più semplicemente uno di quegli spiriti che giravano lì intorno ora il suo aspetto era più simile a quello di un vivente, i capelli ricci e castani arruffati, i lineamenti del viso decisi, il fisico come quello che aveva in gioventù muscoloso e slanciato, con una divisa da Cacciatore che Nikolai non vedeva da secoli, ma fu solo quando i suoi occhi ripresero il loro colore che riconobbe il suo amico: verde smeraldo, splendente e brillante, Alistair.

«Perché ogni volta che ci vediamo devi sempre puzzare così maledettamente di alcool?».

Afferrò la bottiglia mezza vuota che aveva in mano Nikolai e la allontanò.

«Non sai che questa roba uccide?». Ne mandò giù un sorso e poi buttò sul prato ciò che rimaneva del suo contenuto.

«Per uccidermi vi vuole ben altro» osservò lui arrogante come se lo ricordava.

«Vedo che in quasi un secolo non sei cambiato affatto... Forse il tuo modo di vestire ha perso un po' di classe, ma per il resto sei sempre il solito vecchio borioso Nikolai Koslov»

«La morte ti dona Alistair... Non so come ho fatto a permetterti di vivere così a lungo».

I due non si guardarono, ma entrambi dopo poco scoppiarono in una risata, quelle battute erano il loro modo per dirsi che si erano mancati, erano troppo orgogliosi per ammetterlo con parole che tutti gli altri avrebbero compreso, in quel modo il loro segreto poteva essere svelato da loro soltanto.

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