La lama fredda del barbaro mi aveva trafitto da parte a parte, il sangue caldo aveva cominciato a macchiare i vestiti e a riversarsi sul pavimento. Ero sempre più debole, il cuore più lento e respirare era faticoso, sentivo la mente scivolare nell'incoscienza e un freddo familiare avvolgermi.
Non potevo fare altro se non aspettare l'inevitabile, nessuno sarebbe venuto a salvarmi, a nessuno importava.
In quegli ultimi istanti non potei che chiedermi per quale ragione nessuno avesse riconosciuto il mio nome, cosa avevo mai fato per essere abbandonata a quel modo, forse la risposta era più semplice di quanto volessi ammettere: nessuno mi aveva trovato perché quel qualcuno non era mai esistito, perché ero sempre stata sola.
Chiusi gli occhi e delle immagini cominciarono a comparire: due visi che riconobbi essere i miei genitori, io intenta a giocare con un bambino poco più grande.
La mia mente ormai sfinita formulò una nuova domanda "Perché non mi hanno trovato?".
Ma tutto divenne buio rapidamente, il mio corpo smise di tremare e il mio cuore cesso di battere e le fredde, ma accoglienti braccia della morte mi avvolsero....
Durò solo per qualche istante, per un istante solo rimasi rinchiusa nelle tenebre, poi sentii di nuovo il calore tornare nel mio corpo.
Sentii l'aria fresca e pulita del mattino riempirmi i polmoni come se fossi appena riemersa dall'acqua. Il cuore pompava il sangue in tutto il corpo ridando forza ad ogni sua più piccola parte e quando aprii gli occhi mi ritrovai nella radura verde, alle mie spalle l'Isir e addosso l'abito bianco.
Non capì il motivo, né le ragioni, ma ero sicura di quello che fosse successo, avevo vissuto ognuno di quei giorni al villaggio, non li avevo soltanto immaginati e avevo sentito la morte afferrarmi e lasciarmi andare, per quanto fosse impossibile e inspiegabile.
Altri pensieri mi affollarono la mente, ora ricordavo i miei genitori e sapevo di avere un fratello, erano da qualche parte, ma avevo bisogno di sapere di più per trovarli. Tentai di riportare alla mente qualcosa del mio passato che potesse dare una spiegazione a quello che stava accadendo, ma i ricordi riemersero tutti insieme come un'onda inarrestabile di cui distinsi solo alcuni frammenti e che al momento dell'impatto mi lasciò priva di forze e di sensi.
Mi svegliai di soprassalto con il cuore in gola. Non sapevo più se fosse stato un sogno o un ricordo non riuscivo ormai a distinguerli. Mi allontanai le lenzuola di dosso, nella speranza di scacciare insieme a queste la terribile sensazione che mi attanagliava lo stomaco: sentivo in bocca il sapore del sangue e avevo la testa pesante.
Inspirai ed espirai più volte prima di riuscire a liberarmi di entrambe le sensazioni. Lentamente mi sollevai e nel momento in cui posai i piedi sul pavimento gelido, quel contato mi restituii un po' di lucidità e allontanò quelle immagini dalla mente.
Non appena mi sentii meglio mi alzai e andai in cucina. Riempii un bicchiere di acqua fresca e poi mi sedetti con un profondo sospiro. Nonostante fossi ormai abituata a tutto quello a volte alcune sensazioni mi si radicavano così in profondità sotto la pelle che facevo fatica a scacciarle.
Levis saltò sul tavolo senza troppi complimenti e si avvicinò sdraiandosi sul mio braccio.
«Mi dispiace averti svegliata».
Quando avevo allontanato le coperte era schizzata fuori dal letto ruzzolando sul pavimento miagolando allarmata e infastidita.
«Hai avuto un incubo?» la voce di Aggy mi colse di sorpresa.
Mi voltai e incontrai il suo sguardo assonnato accompagnato da un dolce e, anche se tentò di nasconderlo, preoccupato sorriso, si avvicinò e si riempì un bicchiere sedendosi accanto a me.
«Un ricordo... Credo» ammisi con un mezzo sorriso.
Lei annuì piano, poi allungò le braccia sul tavolo e vi posò la testa e si voltò nella mia direzione.
«Cosa hai ricordato?».
Senza accorgermene la mano scivolò sull'addome, nel punto in cui la lama mi aveva trafitto senza lasciare alcuna cicatrice.
«La prima volta che sono morta».
Un tempo parlarne mi infastidiva, confondeva e lasciava in pensiero, accadeva quando ero convinta che nessuno avrebbe mai creduto a ciò che raccontavo e mi avrebbe preso per pazza, ma con Aggy questo non era mai successo: sapevo di poter parlare con lei di qualsiasi cosa senza che mi giudicasse, era stata l'unica a cui avessi raccontato, col tempo, tutta la verità a partire dal principio, o meglio dalle prime cose di cui avevo memoria.
«Ti ha fatto male?».
La guardai sorpresa e sorrisi, la prima volta che gliene avevo parlato aveva fatto la stessa domanda.
«All'inizio, ma ormai è passato».
Lei sbuffò portando lo sguardo sulle lunghe dita.
«Dico io... Uccidere qualcuno in quel modo... Una vara e propria...».
«Barbarie? ...» lei sbuffò appena «...Erano altri tempi, altre usanze».
«Non lo riesco a concepire... E tu non dovresti giustificarli».
«Non lo faccio».
«Lo fai più volte di quante credi».
Sorrisi, forse non aveva poi tutti i torti.
«Tu invece perché sei in piedi?».
Non rispose subito, ma nonostante la poca luce che proveniva dai lampioni in strada vidi un'ombra scura passarle davanti al viso.
«Volevo controllare che non fossi andata via».
Sentii una fitta al petto, un dolore molto più reale di quello di qualsiasi ricordo o sogno potessi mai avere, mi avvicinai e l'abbraccia dolcemente.
«Non me ne andrei senza salutarti... E non ho motivo di farlo ora, allora non ho avuto scelta... Non avrei sopportato l'idea che qualcuno ti facesse ancora del male per colpa mia»
«Lo so... Lo so».
Sospirai e le accarezzai piano i capelli, mentre lei ricambiò il mio abbraccio.
Rimanemmo strette l'una all'altra per un po', poi dato che eravamo ormai entrambe sveglie propose di guardare qualche vecchio film alla televisione, ci sedemmo avvolte in una pesante coperta una poggiata contro la testa dell'altra. Quando iniziò a sorgere il sole Aggy dormiva già da molto, rannicchiata contro il mio fianco.
Mi era mancata più di quanto potesse immaginare e più di quanto in quegli anni mi fossi permessa di provare. Lei era tutto ciò che avevo, era la mia famiglia, l'unica persona alla quale mi ero legata dopo tanto tempo, l'unica che non ero riuscita a respingere: non avrei potuto abbandonare un fagottino dai luminosi e allegri occhi verdi comparso da chissà dove davanti alla mia porta. L'avevo cresciuta ed era accanto a lei che mi consideravo davvero a casa, ma sapevo anche che ciò la rendeva la mia più grande debolezza.
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Immortale
FantasíaUna donna la cui vita è destinata a ripetersi nel tempo. Un amore che non muta nei secoli. E incontri inaspettati che possono cambiare il destino.