-13. Complicità-

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Un'amica stava portando avanti un esperimento delicato e ogni tanto, tramite un messaggio che arrivava sempre nei modi più diversi, mi diceva che aveva bisogno di parlarmi. Quella mattina aveva usato lo specchio del bagno, appannato per via del vapore della doccia, quando ci avevo posato lo sguardo sopra delle lettere avevano cominciato a comparire:

Devo vederti. C'è un lago a est di Dover. Sai come fare.

Non si era dilungata in ulteriori spiegazioni, sapeva che non ne avevo bisogno, dopotutto non era la prima volta che venivo contattata da una strega a quel modo, né la prima che usavo un portale per raggiungerla.

Erano, fra le creature che mi era capitato di incontrare, le più riservate ed erano solite celare le loro case in quelle che chiamavano pieghe dello spazio. Non era facile raggiungerle e questo le rendeva perfettamente difendibili e lontano da occhi indiscreti.

Avevo dovuto percorrere più di un'ora di macchina per raggiungere le sponde del lago. Avevo poi parcheggiato e, assicurandomi di essere sola, ero entrata in acqua, ripetendo lentamente sempre le stesse parole: ut me ad hortum casia.

Ogni strega aveva la sua parola d'ordine casa e questa funzionava in determinate circostanze: una grande quantità di acqua, lontano dalla città e contenuta in uno spazio non troppo grande. Laghi o grandi stagni erano perfetti.

Ero arrivata senza problemi e con gli abiti perfettamente asciutti. Lei mi aveva accolto con un sorriso e si era perfino premurata di preparare del tè e qualcosa da mangiare. Un viaggio come quello risultava essere estremamente faticoso.

Purtroppo le notizie che mi diede non erano ciò che mi aspettavo: il nostro esperimento non procedeva come avrebbe dovuto e sia lei che io cominciavamo ad essere a corto di idee.

Il viaggio però non era stato totalmente a vuoto, avevo avuto modo, dopo un'interminabile discussione, di riprendermi un oggetto che le avevo affidato. Conoscevo il rapporto travagliato fra lei e Nikolai ed ero sicura che non si sarebbe mai avvicinato a quella casa, per cui mi era sembrato il posto perfetto per nascondere il pugnale.

Però la sua insistenza e l'urgenza che avevo sentito nella sua voce quel pomeriggio mi avevano dato da riflettere. Sapevo che era rischioso restituirglielo, ma avevo allo stesso tempo la sensazione che fosse una cosa importante, non mi avrebbe mai detto la ragione di tanta ossessione, avrebbe di certo in qualche modo infranto il suo prezioso codice, ma non ne aveva avuto bisogno.

Così dopo qualche chiacchiera e una cena a dir poco abbondante, l'avevo salutata ed ero tornata a casa.

Quando arrivai era molto tardi.

Entrai nell'appartamento e lo trovai buio e deserto, fatta eccezione per Levis che, appena notò la mia presenza cominciò a girarmi intorno miagolando, una probabile richiesta di cibo.

Come sospettavo Aggy non c'era e si era perfino dimenticata di lasciare un messaggio per avvisare.

Mi cambiai e ritornai in soggiorno, mi preparai un tè e mi distesi sul divano.

Nonostante mi sentissi sfinita non ero certo di riuscire ad addormentarmi senza avere la certezza che fosse tutto a posto. Sapevo fosse ormai una donna adulta e matura, ma la mia apprensione materna non mi avrebbe mai lasciato.

Dovevo essere più stanca del previsto perché, preoccupazione o meno, finì con l'addormentarmi.

Settembre 1903

Era tutto così diverso in quella città dall'ultima volta che vi ero stata, non c'era un giorno in cui il sole non fosse coperto da nuvole grigie cariche di pioggia e per di più non scendeva neanche una goccia.

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