-11. La familiarità del silenzio-

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Quella notte sognai il suo viso, i capelli neri arruffati, gli occhi penetranti dello stesso colore, sentii ciò che avrei sentito se fosse stato al mio fianco, le parole che mi avrebbe detto se avessi potuto sentirlo. Ma ero sola, disorientata e conscia che non lo avrei rivisto presto come avrei voluto.

Come dentro una spirale fui trasportata sempre più in basso, sempre più in profondità finché quelle immagini non divennero nebbia e quel viso scomparve dentro questa. Il buio mi avvolse, sempre più denso, entrava dappertutto mi soffocava e lo sentivo fin dentro le ossa, poi il freddo, che mi impediva di muovermi. Più cercavo di uscire, più venivo inghiottita.

Il rumore del campanello mi svegliò di soprassalto, liberandomi dalle tenebre.

Mi misi a sedere, il cuore in gola e un torpore diffuso in tutto il corpo.

Il suono si ripete di nuovo e di nuovo, ma aspettai di riavere il pieno controllo del mio corpo e di essere calma.

Quando uscì nel corridoio il rumore si fece più insistente, fin quasi ad infastidirmi, come anche con Levis che sdraiata davanti alla porta rotolava da una parte all'altra.

Avrei dovuto guardare dallo spioncino, avevo ignorato il brutto presentimento che avevo sentito quando mi ero avvicinata alla porta, dando la colpa all'inquietudine del mio sonno. Quando aprì un sorriso angelico, quanto fastidioso, mi apparve davanti, circondato da un inconfondibile chioma dorata.

«Cosa fai qui?» sospirai, innervosita dalla sua sola presenza.

Nikolai rise, probabilmente per la voce assonnata che non rendeva bene il mio entusiasmo per la sua visita inaspettata.

«Carino il pigiama...» sorrise malizioso guardandomi dall'alto in basso.

Mi chiusi la vestaglia e avrei voluto fare altrettanto con la porta nel tentativo di far scomparire quel ghigno dal suo volto, ma dubitato che non l'avrebbe fermata. Sospirai e lo lasciai entrare.

«Ho portato la colazione». Sollevò un sacchetto che poi mi mise in mano prima di precedermi all'interno.

Fece qualche commento, ma non prestai molta attenzione alle sue parole, ero più concentrata sulla busta e sul suo contenuto, per quanto ne sapevo avrebbe potuto metterci qualsiasi cosa, ma quando vi guardai dentro notai solo due panzerotti, uno alla crema e uno al cioccolato, sorrisi e ne presi uno avvicinandolo alla bocca.

«Ti piacciono ancora vero». La sua era più un'affermazione che una domanda.

Chiusi la porta e mi avvicinai alla cucina, con l'intento di fare un po' di te.

«Aggy non c'è?» guardò un momento in direzione del corridoio.

«No... Ieri ha detto che lei e Nate dovevano uscire... Posso conoscere il motivo della tua visita?».

«Ero nelle vicinanze e ho pensato di fare un saluto».

«Come sei gentile... Ma non c'era bisogno di prenderti tanto disturbo» l'accenno di sarcasmo nella mia voce non passò inosservato, ma lo fece sorridere.

Levis saltò sul tavolo osservando il nuovo ospite con non poca diffidenza e soffiandoli contro, sorrisi nel notare che il suo fascino non aveva effetto su di lei.

«Hai un gatto da guardia?» chiese sorridendo alla sua stessa battuta a cui accennai un sorriso anch'io.

«Sì chiama Levis» la gatta mi si avvicinò per lasciarsi accarezzare.

«Non molto originale...» la prese e la sollevò da sotto la pancia, la osservò solo per qualche secondo, perché lei decise che non gli piaceva e tentò di graffiarlo. La lasciò andare.

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