CAP. 1: UN GIORNO NORMALE

438 44 13
                                    

" Ogni storia che si rispetti comincia con una bella frase poetica o con un fatto talmente normale da sembrare sconcertante. La mia storia, invece, non so come farla iniziare, perché non so neanche di cosa parlerà. Penso che questa sia la prima storia che si basa sul niente: è d'avventura? Non lo so. è un romanzo romantico? Non lo so. È un giallo? Non lo so.
Insomma, so una cosa sola, e penso che ormai la sappiano tutti coloro che stanno leggendo: sto cercando di scrivere un libro senza avere idea di cosa raccontare.
Ma vi assicuro che le idee ci sono nella mia testa ... solo che ... corrono più veloci della mia penna e non riesco a fermarle su questo pezzo di carta ..."
Lydia posò la penna sul tavolo, prese il foglio su cui stava scrivendo e lo lesse, poi, affranta, lo accartocciò e lo gettò in un secchio di vimini poco distante. La palla di carta mancò il cesto e si posò invece per terra, dove già c'erano altri fogli stropicciati.
La ragazza sospirò; non aveva mai letto nessun libro le cui prime pagine descrivevano l'inettitudine dell'autore nel narrare ... e naturalmente nessuno avrebbe mai letto un libro di una diciottenne così palesemente inesperta.
Quella decisamente non era la giornata giusta per scrivere, si chiese quando sarebbe arrivata, ci avrebbe riprovato l'indomani, o magari più tardi, quando sarebbe tornata da scuola.
Scolò le ultime gocce di camomilla nella tazza posata sulla scrivania, si stiracchiò e si diresse verso l'armadio.
Prese le prime cose che trovò nel guardaroba e le indossò senza tanti complimenti, non degnandosi di uno sguardo quando passò davanti allo specchio.
Alta, ma non più delle altre ragazze, magra, ma non da sembrare sottopeso o anoressica, i capelli ramati, ma non tanto da poter essere considerati rossi, carina, ma non da poter essere definita bella, gli occhi di una strana mistura fra verde e azzurro, ma non abbastanza penetranti da essere ricordati.
Insomma, nell'aspetto fisico, Lydia Taylor era una diciottenne come tutte le altre.
«Lydia!» chiamò una voce proveniente dalla cucina: sua madre.
«Dimmi» rispose affacciandosi allo stipite della porta.
«Niente. È solo che dovevi salutarmi prima di andartene». Era seduta al tavolo della cucina con una tazza di camomilla fra le mani, i capelli rosso acceso le cadevano spettinati sugli occhi verdi cerchiati da occhiaie scure.
«Certo mamma, ti avrei salutato comunque fra qualche minuto...» detto questo si avvicinò a lei, l'abbracciò e le diede un bacio sulla guancia. Non le piaceva l'idea di lasciarla a casa in quello stato, era così da quando...
«Vai, ora, io me la caverò» le disse in un sussurro. Lydia si alzò, prese la borsa di scuola, si girò e uscì dal portone, cominciando così un'altra giornata del tutto identica alla precedente.
***
La pioggia scendeva fitta sull'asfalto rovinato, ma nonostante ciò il sole splendeva imperterrito nel cielo.
Sotto il balcone sporgente di una casa c'era lei: Verity. Infuriata, bagnata e puntualmente in ritardo.
Il cellulare che teneva stretto fra le mani iniziò a squillare.
«Very! Si può sapere dove sei?! Mi avevi promesso di arrivare in orario ... almeno per oggi!» una voce squillante arrivò dall'altro capo del telefono.
«Punto primo: non chiamarmi "Very", lo sai che non lo sopporto. Punto secondo: io sono in orario! Normalmente passo di qui alle 8.20 e oggi sono le 8.17, quindi sono in orario ... Punto terzo: anche se è il tuo compleanno non vuol dire che persino il presidente degli Stati Uniti debba precipitarsi da te, sai?» rispose scherzando.
«Ah, ti paragoni al presidente degli Stati Uniti?»
«Scusa, hai ragione. È lui che deve paragonarsi a me»
«Signore! Luna storta, Vy?»
«Veramente qui c'è il sole, non so se lì da te è ancora notte...»
«Sei davvero esasperante! Ti avverto Watson, se non sei qui fra due minuti non ti aspetto e te la vedi da sola col tuo ritardo!»
«Non chiamarmi Watson!»
Ma la protesta andò sprecata, il secco suono del cellulare era indice del fatto che Rose avesse chiuso la chiamata. Non le restava altro da fare, se non correre sotto la pioggia per raggiungerla.

***
«Ehi Julie, eccole!» esclamò una voce dalla porta della classe.
«Oh, finalmente!» disse questa scorgendo Rose e Verity nel corridoio. Si vedeva già da lì che Rose era tutta eccitata mentre si legava i capelli ricci e biondi in una coda alta, Vy era invece esasperata sia moralmente che fisicamente: i capelli mossi erano tutti bagnati e gli abiti zuppi di pioggia, in più Rose la stava massacrando con un fiume di parole.
«Oh, Julie, salvami tu!» disse infatti Verity appena la scorse. «Lo ha soltanto visto da lontano e sono cinque minuti che ne fa un miracolo!»
Era tipico di Rose fissarsi con qualche ragazzo e poi andare in escandescenze alla sua sola vista. Quello era l'anno di uno che era stato bocciato almeno tre volte e decisamente brutto secondo il parere di tutti tranne che del suo ovviamente.
«Julie. Julie. Julie! L'ho visto mi è passato davanti! Oggi sarà una giornata bella, bella, bella!» urlò Rose tutta eccitata.
«Buon compleanno, eh!» disse Julie alzando gli occhi al cielo.
«Julie. Julie. Julie! L'ha visto anche uno specchio e per la disperazione è andato in pezzi!» si intromise Verity scimmiottando Rose.
Contemporaneamente partirono la risata sguaiata di Julie e il mugolio bambinesco di Rose, che odiava quando prendevano in giro i suoi idoli.
«Non dire più cose simili!» disse infatti tutta impettita, poi si andò a sedere.
Le altre due, invece, continuarono a ridere.
***
Uno scoppio di risa si levò dalla porta della classe, Lydia alzò lo sguardo e vide Julie e Verity prendere in giro una Rose imbronciata.
Mora, castana e bionda. Capelli lisci, mossi e ricci. Quelle tre formavano un trio perfetto: ridevano, litigavano, spettegolavano ... erano sempre insieme. Una sottile fitta di gelosia la trafisse: lei non aveva nessun'amica. Era solo il terzo mese che frequentava quella scuola ed era difficile integrarsi al quinto anno.
"Forza Lydia, fatti coraggio. Parlaci e diventa loro amica."
Una vocina nella sua mente scandì imperiosa queste parole e lei stava quasi per alzarsi quando sulla porta della classe comparve il professore.
«Buongiorno a tutti ragazzi! Suvvia, andate a sedervi, oggi ci divertiremo un mondo. Combatteremo al fianco di Weimar!» disse con la sua voce tonante.
Ecco, era l'inizio di altre due noiosissime ore di storia. Una guerra di seguito a un'altra, raccontate monotonamente senza un minimo di fantasia. Di solito cercava di stare attenta, ma quel professore aveva un potentissimo potere sonnifero e si ritrovava sempre a fissare il vuoto. Lo sguardo si posò sul quartetto in fondo alla classe. Appoggiata vicino al muro c'era Verity, sembrava concentrata sulla storia ma aveva la bocca socchiusa in un sorriso strano, cosa che spinse Lydia ad osservare Julia, Theodor e Rose che sembravano altrettanto attenti alla lezione, ma che ridacchiavano e annuivano in momenti non opportuni. Guardò di nuovo Verity che aveva ancora quella strana espressione e capì: ventriloquo. Verity stava raccontando chissà cosa utilizzando la tecnica dei ventriloqui.
Non si smentivano mai quei quattro. Sembravano sempre dei santarellini, ma durante le lezioni facevano di tutto fuorché stare attenti.
Quando era arrivata per la prima volta in quella classe, la sua vicina di banco, le aveva spiegato brevemente le situazioni e gli intrecci che si erano formati nei passati quattro anni.
C'erano le classiche coppie di migliori amici, il gruppo di Verity, Julie, Theodor e Rose, che era stato soprannominato "Il Quartetto" e poi restavano i vari ragazzi isolati, che erano definiti strani.
Beh, era ovvio che lei fosse catalogata fra questi ultimi.
Si girò di nuovo verso i quattro ragazzi; Ora Theodor e Rose stavano probabilmente giocando a tris sul bordo del banco, mentre Julie e Verity stavano ridacchiando con le teste chine su qualcosa.
***
«Avanti... Dai! Su!!» sussurrò Rose in preda al panico.
«Ma che hai!?» chiese Theodor.
«Devo... Andare... In bagno!!!»
«Sii certo e noi ti crediamo...» riprese Julie.
«... Come se non sapessimo che in realtà è la tua passeggiata-casuale-davanti-alla-SUA-classe» aggiunse Vy.
«Contenti ora che avete commentato tutti?» disse Rose stizzita.
Era sempre stato divertente prendere in giro Rose per i suoi assurdi e frivoli amori, anche se qualche volta, nel corso degli anni, avevano un pochino esagerato.
Fortunatamente la lezione era quasi finita, quelle due ore non erano state così malvagie: dopotutto il professore non si era accorto che stavano allegramente chiacchierando.
Verity sentiva uno strano formicolio al lato destro della faccia, non era prurito ma più una sensazione di... pressione. Qualcuno la stava fissando. Si girò per cercare chi era; Il ragazzo dietro di lei, stava segretamente ascoltando la musica, vide il filo delle cuffie che usciva dal collo della maglia, gli altri o avevano lo sguardo perso nel vuoto o controllavano costantemente l'orologio. Nessuno la fissava, forse si era sbagliata, si rimise dritta. Il formicolio persisteva e con la coda dell'occhio scorse Lydia, la ragazza nuova, che la osservava. Allora non aveva sbagliato, qualcuno la stava guardando davvero!
Chissà perché la fissava così. Quella ragazza non le aveva mai parlato, anche se erano tre mesi che frequentavano la stessa scuola, eppure sospettava che lei volesse farlo ma non avesse il coraggio. Ma che coraggio ci voleva per parlare con lei? Non mordeva mica.
C'era qualcosa di particolare in Lydia Taylor, l'espressione vacua che spesso aveva sicuramente non era dovuta alla noia... era qualcosa di profondo che la logorava da dentro. O almeno così credeva lei. Avrebbe indagato, magari avrebbe potuto parlarci durante l'intervallo.
« Tre... Due... Uno... Driiin!» al "driiin" suonò anche la campanella che segnava l'inizio della ricreazione, Theodor aveva passato gli ultimi tre anni a cercare di sincronizzare il suo orologio con quello della campana e finalmente era riuscito a capire esattamente in quali giorni suonava un po' prima, in quali precisa e in quali in ritardo. Un giorno aveva descritto tutta una sua teoria e una sua sequenza su come secondo lui suonava la campana, ma nessuno l'aveva veramente ascoltato. Era bravo in matematica, e Verity era anche certa che se non fosse stato del "quartetto" sarebbe stato catalogato fra gli strani.
«E bravo Theo. Si vede che la scuola serve a qualcosa!» si complimentò Julie.
«Oh, sì... a calcolare con esattezza quando suona la campana... io ci farei la tesina su questo» aggiunse lei sarcastica.
Rose stava armeggiando con un lucidalabbra trasparente e uno specchietto.
«Rosie che fai?» chiesero insieme lei e Julie.
«Beh... devo andare... in bagno»
«Ah, non sapevo che al cesso si va truccati» commentò Julie con la sua naturale delicatezza.
«Sì, caso mai passasse... voi-sapete-chi!»
«Voldemort? Non sapevo andasse ancora a scuola» disse Vy.
«Ah-ha. Simpatica la ragazza» le rispose Rose.
Detto ciò si alzò e uscì dalla classe. Julie si sedette al banco per copiare gli ultimi esercizi di inglese e Verity si poggiò vicino a lei guardando fuori dalla finestra. C'erano tanti ragazzi più piccoli che passeggiavano e urlavano nel giardino e forse, se Julie avesse finito velocemente i compiti, sarebbero scese anche loro.
Nel frattempo lasciò vagare il suo sguardo per il cortile e si ritrovò assalita dai suoi pensieri. Succedeva sempre così quando lasciava la sua mente libera: una sensazione di impotenza e il desiderio impellente di fare qualcosa si impossessavano di lei. Voleva essere qualcuno di importante, non voleva che la sua vita finisse con la sua morte. Voleva restare nella storia dell'umanità e in un modo o nell'altro ci sarebbe riuscita.
Aveva fissato lo sguardo verso l'uscita di scuola, guardava senza guardare finché non sentì Julie che la chiamava per fare un giro.
La seguì all'esterno, il sole faceva timidamente capolino fra le nuvole e un leggero venticello soffiava fra i rami del giardino.
«Fosse per me non rientrerei proprio. Ora abbiamo un'ora di religione e due di inglese. Io proprio non li sopporto quei due!» si lamentò Julie.
«Si sta così bene qua fuori... Rose non è venuta?» rispose.
«No, quella scema è rimasta nel corridoio caso mai passasse il mostro»
«Gentile... »
«Beh io dico la verità, se è brutto è brutto»
«Mi riferivo al commento su Rose...»
Scoppiarono entrambe a ridere, così, senza motivo, solo per il gusto di sentirsi divertite.
«Ciao voi!» le salutò una ragazza del loro anno avvicinandosi. «Cosa sono tutte queste risate?» continuò.
«Non lo sappiamo neanche noi» le rispose Julie.
«Beate voi! Io sono in costante ansia per gli esami! Fra sei mesi! Solo sei!»
«Beh, se ti spaventa il numero sei pensa che mancano più o meno centottanta giorni, magari il numero più grande ti rilassa la mente» disse Verity scherzando.
«Pensi che possa aiutare?» chiese prendendola sul serio «È così che fai tu?»
«Oh, no! Noi pensiamo in secondi! È ancora più rilassante...» si intromise Julie.
«Ah, e quanti sono?»
Non si poteva scherzare con quella ragazza, era troppo ansiosa e prendeva tutto alla lettera. Lasciò perdere il discorso e si guardò intorno. Le panchine erano tutte colme di ragazzi e fuori dal cancello c'era un gruppo di professori in attesa dell'inizio delle lezioni.
Fra loro c'era un ragazzo alto e bruno che si guardava intorno... un momento: non era semplicemente "un ragazzo"; era Daniel Black e lei lo conosceva bene.
Era il suo migliore amico sin da quando riusciva a ricordare, ma da circa un anno era scomparso dalla circolazione e non si era più fatto sentire. Nessuna spiegazione, nessun saluto. Lei aveva deciso di dimenticarlo del tutto, ma ora era lì e la sua determinazione vacillò e fu tentata di correre ad abbracciarlo.
«Verity!» la chiamò quest'ultimo non appena la scorse.
Lei si girò di scatto verso le due ragazze e cercò di riagganciarsi al discorso. Daniel la chiamò di nuovo e lei disse rivolta alle amiche: «Non mi sta chiamando nessuno, vero?»
Julie la guardò col sopracciglio alzato: «Ehm ...»
«Verity!» si sentì di nuovo la voce di Daniel.
«Decisamente ti stanno chiamando, Vy» constatò l'altra ragazza girandosi.
«Dici?» chiese con un pizzico di panico e follia.
«Vy, sei impazzita? Ti ha appena chiamata un ragazzo ... E che ragazzo ...»
«Sei seria?» chiese Verity stupita.
«Sì, ti sta chiamando quel tipo laggiù»
«No dico ... davvero non l'hai riconosciuto?»
«Dovrei conoscerlo?»
Questo era davvero strano. D'accordo aveva sempre cercato di non far incontrare troppo spesso Julie e Daniel, ma il fatto che non lo riconoscesse era assurdo.
In quel momento lui la chiamò di nuovo e lei finalmente si girò: aveva una giacca di pelle nera e una camicia a quadri blu, le mani in tasca ai jeans e gli occhiali da sole in testa.
Decise di andargli incontro.
«Ciao» disse lei non appena lo raggiunse.
«Ciao Ver. Devo dirti una cosa»
«Oh, ma grazie, io sto bene. È solo un anno che non ti fai sentire, ma ... sì certo, dimmi tutto» rispose sputando sarcasmo. La rabbia si stava impossessando di lei.
«Non essere arrabbiata. Capirai tutto Ver, ma ti prego ascoltami ...»
«Oh, non vedo l'ora di sentire! È un anno che non ti fai vivo...»
«Un ... Oh ... Sì è che...»
«...Ti ho aspettato tutto il pomeriggio quel giorno...»
«...Io ... ti giuro ...»
«Non sei venuto! Né quel giorno, né dopo e ora arrivi qui e pretendi di essere ascoltato?»
«Non potevo ...»
«Non potevi cosa esattamente?»
«Non potevo passare senza avvisare ...»
«Non potevi presentarti senza avvisare!? Ma se è una VITA che vieni a casa senza avvisare!»
«Beh... è che io ... Verity ascoltami ...» balbettò impacciato.
«No. Daniel Black renditi conto che sei scomparso senza dirmi una parola e ora vorresti essere ascoltato! Sei ridicolo!» urlò infine, voltandosi.
«Sì, hai ragione. Lo so anche io che hai ragione Ver, ma per favore ascoltami» supplicò lui.
Daniel non era tipo da supplicare, ma lei non era una persona molto arrendevole.
«No» disse cominciando a incamminarsi verso Julie, che stava ancora parlando con l'altra ragazza. Verity sperò che Daniel la bloccasse, perché non voleva davvero lasciarlo lì.
Sentì dei passi dietro di lei.
«Dai, Ver, ascoltami!»
Era troppo orgogliosa per fermarsi così presto.
«Ho detto di no»
«D'accordo. Addio Ver»
Come al solito Daniel si era arreso senza combattere: sin da quando erano bambini e litigavano durante i loro giochi era sempre Verity ad averla vinta.
Ma questa volta vincere significava perdere di nuovo Daniel. Verity si girò, vide il ragazzo già distante e corse per raggiungerlo.
«Daniel fermati. Stavo scherzando!»
Allungò la mano e gli afferrò il braccio.
«Ti chiedo scusa Dan, anche se dovresti essere tu a scusarti. Ora girati» gli intimò.
«Ti sei davvero arresa Ver? Questa me la segno ...»
«Non ti conviene. Potrei cambiare idea»
«Ok, ok, scusa»
«Che dovevi dirmi?»
«Ah ... Beh ... Non sono matto, ma devi assolutamente fare una cosa per me»
«Sarebbe?» chiese Verity.
«Devi andare in biblioteca»
«Sei ... Serio?» chiese scioccata.
«Sì »
«Ehm ... Perché dovrei, esattamente?»
La ragazza guardò l'amico: gli occhi grigi solitamente brillanti apparivano stanchi e preoccupati. Daniel non stava bene.
«Dan tutto ok?» chiese preoccupata.
In quel momento sentirono il suono della campanella, la ricreazione era terminata e lei doveva rientrare. La ignorò.
«Verity devi assolutamente andare ...» iniziò lui ignorando la domanda.
«Dan» cercò di prendere la parola.
«Devi cercare un libro nero. È importante che tu lo faccia. Capirai tutto dopo ... spero»
«Daniel che sta succedendo?»
«Non posso dirti nulla, ma devi andare in biblioteca. Prendi il libro e ... buona fortuna»
La campana della scuola suonò nuovamente, questa volta Verity non poté ignorarla.
«Daniel io devo andare. Ti chiamo dopo»
«No»
«Perché?»
«Verity non cercarmi. Cerca il libro e se tutto va bene ci rivedremo presto. Io ...»
«Ma tu stai male Dan! Stai impazzendo ... i tuoi genitori cosa ...»
La preoccupazione invase lo sguardo del ragazzo che balbettò confusamente: «No ... tu ... ciao Ver»
E senza aggiungere altro corse via, lasciandola sola davanti al cancello.
«Vy! Rientriamo?» chiamò la voce impaziente di Julie da lontano.
Verity si girò preoccupata e a malincuore. Avrebbe preferito seguire Daniel.
«Chi era?» chiese Julie mentre andavano verso la classe.
«Julie ... Era Daniel. Possibile che non te lo ricordi?»
«Decisamente mi sarei ricordata di aver conosciuto un tipo del genere»
Verity ignorò il commento e borbottò fra sé e sé.
«Era strano. Ha qualcosa che non va. Lo sguardo ... Lo sguardo era folle. Mi ha detto di andare in biblioteca e cercare un libro nero ... Mi accompagni?»
Julie storse il naso: «Peccato, Vy, oggi non posso proprio»
«Ok. Allora vado da sola. Devo capire che sta succedendo»

Shén~L'AlleanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora