CAP. 8: L'ULTIMA PROVA

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Aveva preso coraggio e aveva deciso di sottoporsi alla prova prima di Lydia. Non appena Verity era arrivata sulla mattonella col simbolo dalle cinque braccia inciso, la stanza aveva cambiato aspetto. Le sbarre erano scomparse improvvisamente e i corridoi che vi si celavano dietro avevano cambiato aspetto. Due di essi erano diventati grigi e si erano innalzate delle barriere trasparenti fra quei corridoi e la stanza. Gli altri tre sembravano invece normalmente accessibili. Il punto da cui era arrivata era stato chiuso con un muro e di Lydia non v'era più traccia.

Verity si chiese cosa dovesse fare, ma qualcosa le venne in aiuto subito. Da qualche parte dei muri uscì improvvisamente una voce che parlò chiaramente.

«Sei arrivata fin qui, Verity Watson, questo vuol dire che sei degna di accedere al Xuānshì Gōng, ma devi ancora superare quest'ultima prova. Scegli quale corridoio preferisci percorrere, ma sappi che una volta presa la tua decisione non potrai tornare indietro. Il tuo Oggetto ti aiuterà a capire la strada giusta da prendere»

Finito quest'annuncio la nuvola si dissolse nell'aria. Ma le parole che aveva detto riecheggiavano ancora nella mente di Vy.

Il tuo Oggetto ti aiuterà a capire la strada giusta da prendere. Qual'era il suo oggetto? Pensò intensamente. Oggetto, scelta. Oggetto, scelta. Ma certo! Il libro era il suo oggetto.

Portò le mani alla vita dove aveva ancora il libro legato con la corda e lo sciolse. Lo aprì immaginando di trovare un altro video, ma niente. Era esattamente come pochi minuti prima. Lo chiuse delusa ma lo sguardo le cadde sul simbolo in copertina. Il ramo che terminava con la goccia era quello colorato. Cosa poteva significare? Riaprì lentamente il libro e si ritrovò davanti alla prima pagina, quella riempita con la stessa parola. Verità. Ecco la sua strada!

«Verità!» urlò non appena capì qual'era la direzione da prendere.

Immediatamente, dopo aver pronunciato quella parola, lo scenario intorno a lei mutò nuovamente. Quattro ingressi tornarono sbarrati com'erano all'inizio, mentre il quinto si era illuminato con delle luci scure che davano un colore grigiastro ai muri. Si incamminò spedita verso quell'ingresso prima che la stanza cambiasse di nuovo.

Il corridoio era molto scuro, dopo aver acceso la torcia Verity riuscì a sorgerne il fondo e una porta nera. Corse all'impazzata verso di essa e tentò di aprirla non appena la raggiunse. Prevedibilmente, la porta era chiusa. Non c'erano chiavi lì vicino e la ragazza si chiese se la prova da superare non fosse buttarla a terra.

Non sapeva cosa fare, così decise di meditare sedendosi in terra. Pensò a quel viaggio straordinario e le venne in mente un particolare che avevano dimenticato: l'acqua. Lei e Lydia avevano bevuto l'acqua del lago perché il libro diceva che sarebbe stata loro indispensabile, ma ancora non aveva avuto alcun effetto particolare.

Stava ancora fissando la porta inebetita chiedendosi cosa fare, quando sentì un rumore provenire dalle sue spalle. Si girò incuriosita e cauta a un tempo e si ritrovò davanti ad una cosa impensabile. Una sfinge la fissava minacciosa.

Aveva creduto che attraversare un portale fosse la cosa più assurda che le potesse capitare, ma evidentemente si sbagliava. Fissò il volto enigmatico della donna a quattro zampe e di getto le chiese: «Non puoi essere reale»

«Tu devi essere Verity Watson, non è così?» chiese ella con voce meccanica.

No, non era decisamente reale.

«Sei una macchina. Non mi chiederò, come fai a sapere il mio nome se è questo che speravi. Sarà pieno di telecamere qui intorno» disse spavaldamente.

«Non è questo il mio compito»

«E allora qual è il tuo compito? Darmi una mano a sfondare questa porta?» chiese.

«La tua arroganza offusca le tue doti, ragazza. Si, io ti aiuterò ad oltrepassarla, ma la chiave reale è nel tuo cuore e nel tuo cervello»

«Cosa dovrei fare?» ora Verity aveva abbassato la voce, non per paura e neanche per rispetto, ma perché era impaziente di oltrepassare la porta e l'esaltava l'idea di una nuova prova.

«Devi mostrare il tuo cuore. Sei pronta?»

Verity ci pensò intensamente. Nel suo cuore non c'era nulla di diverso da ciò che diceva. Non vi erano segreti nascosti, non vi erano colpe da nascondere.

«Sono pronta» E lo era davvero.

«Cosa faresti se ti venisse posta la domanda: "Prometti di mantenere un segreto?"»

Verity ci pensò attentamente poi rispose: «Non posso promettere una cosa simile. E se poi mi confessassero di aver ucciso qualcuno? In quel caso dicendo di sì avrei fatto una promessa che non potrei mantenere, mentre se dicessi di no e poi il segreto non è nulla di grave avrei detto una bugia»

«Quindi tradiresti il segreto?»

«Preferirei tradire il segreto piuttosto che celare la verità dicendo bugie»

«D'accordo. Se invece tu fossi colpevole ma qualcun altro è accusato al tuo posto, cosa faresti?»

«Confesserei. È un'ipocrisia far scontare agli altri le proprie pene»

«Quindi preferiresti essere punita piuttosto che mentire?»

«Sì»

«Quando parli con qualcuno, dici sempre la verità?»

«Sì. Dopotutto la tua domanda è un paradosso. Se ti avessi risposto di no, avrei detto la verità, ma in quel caso sarebbe stata una bugia alla tua domanda e ...»

«Fermati. Dalle tue parole si capiscono molte più cose di quanto tu non creda, Verity»

Detto ciò il robot-sfinge emise degli strani ronzii senza muoversi per alcuni minuti, poi cominciò ad allontanarsi.

«Ma ... Non puoi andartene!» urlò Verity.

Ma in quel momento una serratura scattò dietro di lei e la porta si aprì, mostrando una stanza spartana con un tavolo e delle sedie.

«E ora dove mi trovo?» si chiese esasperata entrando.

Non appena oltrepassò la soglia la porta si richiuse dietro di lei isolandola del tutto dal luogo da cui era arrivata.

Sulla parete in fondo alla stanza era dipinto il simbolo che la perseguitava da quel pomeriggio. Era strano vederlo tutto colorato: un misto di verde, rosso, grigio, azzurro e giallo. Oltre a quell'affresco tutt'intorno era spoglio e freddo. A prima vista Verity non notò una porta ben mimetizzata col muro, ma non appena vi arrivò dinanzi, spinse la maniglia.

La sala che le si palesò era molto più luminosa della precedente, con un'ampia vetrata che dava sul buio cielo notturno e un grande camino acceso. Davanti al fuoco c'era una scrivania ingombra di pulsanti e schermi. Una poltrona le volgeva le spalle, ma l'ombra sul muro faceva intendere che vi era seduta una persona intenta ad armeggiare coi tasti sul tavolo.

«Ehm ... Salve. Vorrei gentilmente sapere dove mi trovo»

Verity aspettò pazientemente una risposta che non arrivò.

«Grazie della risposta. Sapete, sono armata di uno spadino, quindi ritengo che mi dobbiate una risposta»

Ci fu silenzio per un altro paio di minuti, ma Verity capì di aver attirato l'attenzione dell'interlocutore perché l'ombra aveva smesso di smanettare.

La tensione nella stanza era palpabile, ma poi una sonora risata proruppe dalla poltrona che cominciò a ruotare su se stessa.

Seduto sul morbido mobilio c'era un ragazzo moro, ma Verity non ebbe il tempo di osservarne il sorriso perché non appena egli la vide la di lui risata soffocò in un sussurro spaventato: «Eliza!»

«Come fai a conoscere il nome di mia madre?»

Shén~L'AlleanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora