7.Sentimenti.

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Quando mi svegliai, doveva essere venuto giorno da un bel pezzo; la pioggia ticchettava contro il vetro e avevo una strana sensazione di stanchezza, oltre ad un tremendo mal di testa.
Ero in un letto, che non era il mio, avvolta da morbide lenzuola bianche.
Mi alzai a fatica, cercando di ricordare cosa fosse successo, ma avevo in testa soltanto delle immagini disordinate.
Mi trascinai verso la porta, barcollando, mentre con una mano cercavo di aggrapparmi a qualsiasi oggetto sembrasse in grado di reggere il mio peso e con l'altra mi tenevo la fronte.
Quando fui in corridoio, mi resi conto di essere a casa di Zayn.
Scesi le scale e mi fermai sulla porta che dava sulla cucina, dato che il moro era lì, che parlava al telefono.
"Io so soltanto che non dovevi dirglielo!", tuonò, facendo avanti e indietro per la stanza.
"No, sono fatti miei...e non parlarmi sopra, cazzo!", aggiunse, furioso.
Poi, si mise ad ascoltare la conversazione dell'altro, al telefono, e rimase un po' in silenzio, scuotendo la testa ogni tanto.
"Dio mio, se non erano preoccupati ieri alle due, non vedo come possano esserlo ora...sì, è arrivata alle due!", continuò, roteando gli occhi.
"Era fatta...no, sta bene, credo", disse, mordendosi il labbro inferiore.
"Sì, va bene. Ciao", sbottò, staccando la chiamata.
Poi, si voltò e mi vide.
"Parlavi con John?".
Lui evitò il mio sguardo e alzò le spalle, poi mi fece cenno di sedermi e posò sul tavolo una tazza di caffé bollente.
"Bevi, ti farà bene", ordinò, sedendosi davanti a me.
Obbedii e iniziai a sorseggiarlo lentamente, senza staccare gli occhi da Zayn, che però guardava un punto sul tavolo.
"Mi dispiace di essere piombata qua...non volevo disturbarti", dissi, dopo un po'.
Finalmente, lui alzò la testa e mi guardò.
"Ricordi qualcosa di ieri sera?".
"Beh, è tutto confuso, non saprei...", risposi, sospirando.
"Si può sapere che diavolo ti è saltato in mente?", sbottò, alzandosi improvvisamente e sbattendo le mani sul tavolo.
Sussultai.
"I-io...non lo so...", sussurrai, abbassando lo sguardo.
Zayn sembrò calmarsi e si mise di nuovo seduto, facendo tornare un imbarazzante silenzio.
"E' pericoloso, poteva finire male", fece, dopo un po'.
"Perché sembra quasi che ti importi di me?", lo provocai, assottigliando gli occhi.
Lui sbuffò e scosse la testa.
"Non mi importa di te!", esclamò, scocciato.
Schiusi appena le labbra, ferita dalla sua affermazione. E annuii, delusa.
Poi, mi alzai dalla sedia e corsi via.
Lui mi seguì fino in strada.
"Jane! Aspetta, Jane!".
Forse era dispiaciuto, ma non sembrava proprio.
Lo ignorai e continuai a camminare, anzi, aumentai il passo.
Così lui corse verso di me e mi afferrò per un polso, voltandomi verso di sé.
"Lasciami!", ringhiai, cercando di divincolarmi dalla sua presa, ma lui strinse ancora di più, guardandomi negli occhi.
Non disse niente, continuò a fissarmi per un po' e io scoppiai.
"Maledizione, Zayn, togli le tue manacce da me!", urlai, cominciando a colpirlo sul petto.
Finalmente, allentò leggermente la presa, anche se non mi lasciò proprio andare.
"Perché sei così fottutamente idiota con me?", chiesi, scuotendo la testa.
Io non lo capivo. Non lo capivo proprio.
Lui continuò a non rispondermi e il suo sguardo diventò inquietante.
Sbuffai e mi divincolai di nuovo, ancora senza risultati.
"E lasciami!", esclamai.
Questa volta, mi liberò dalla sua presa.
Mi toccai il polso, leggermente arrossato e lo guardai male, ma non riuscii a tenergli il muso per molto, dato che continuava a fissarmi con quei suoi occhi meravigliosi.
"Che c'è?", sbottai, a disagio.
"Chi è stato?", finalmente, parlò.
"A fare cosa?", ribattei, sospirando e alzando un sopracciglio.
"Dio mio, Jane, a drogarti!", esclamò, come se la cosa lo annoiasse.
Lo guardai e sulle mie labbra apparve un sorrisetto compiaciuto.
Lui corrugò la fronte.
"Perché sorridi?".
"Ti importa di me. Me l'hai appena dimostrato", risposi, andandomene e lasciandolo spiazzato.

Mi stavo annoiando a morte in camera mia, quando mia madre mi chiamò dal salotto.
"Jane! C'è una persona per te!", gridò.
Confusa, con nessuna idea di chi potesse essere, scesi lentamente le scale, mentre quella cretina di mia madre le saliva con un sorrisetto malizioso sul volto.
"Uuh, è un ragazzo", mi sussurrò, alzando un sopracciglio come per incoraggiarmi o qualcosa del genere.
"Ed è anche molto carino", aggiunse, facendomi l'occhiolino.
Roteai gli occhi e aumentai il passo, decisa a scoprire chi potesse essere.
Avevo una mezza idea su Zayn, ma non credevo che volesse vedermi.
Invece, quando arrivai alla porta, riconobbi Harry, che, ancora fuori di casa, stava armeggiando con il cellulare.
"Harry?", lo chiamai, attirando la sua attenzione.
Mi scrutò dalla testa ai piedi e mi sorrise.
"Ehi, stai bene, a quanto pare", disse, mostrando i denti bianchi.
Alzai le spalle.
"Beh, ho avuto giorni migliori, ma non posso lamentarmi", risposi, incrociando le braccia.
Lui annuì e si passò la lingua sulle labbra, pensieroso su cosa dirmi.
"Che ci fai qui?", lo incitai, curiosa e confusa allo stesso tempo.
"Oh, beh...mi manda Liam", rispose lui, schiarendosi la voce.
"Liam. Sul serio?", feci io, alzando un sopracciglio.
"Sì...è dispiaciuto per quello che è successo, ha detto che si è lasciato prendere un po' troppo. Vorrebbe rivederti".
Mi lasciai andare ad un sorrisetto ironico.
"Beh, riferiscigli che può anche scordarselo", bofonchiai, facendo per chiudere la porta.
"Aspetta!", esclamò, bloccandola con un piede.
"Oddio, Harry. Che c'è?", feci, scocciata.
"Ho parecchie cose da fare, quindi...", mentii, sperando che si arrendesse e se ne andasse.
"Ti va un caffè?", chiese, sorridendo.
Scossi la testa, riaprendo la porta.
"Ne ho già preso uno", risposi.
"Due sono sempre meglio di uno, no?", ribatté lui, allargando il sorriso, incorniciato da due tenere fossette.
Se non avessi saputo che giro frequentava, l'avrei ritenuto un dolce ragazzino imbranato.
Sospirai.
"No, grazie. Non mi va di parlare di Liam".
"Speravo che lo dicessi", commentò, indicandomi la sua auto, parcheggiata sul vialetto.
"Dai, salta su. Ti prometto che non pronuncerò neanche per sbaglio la parola con la 'l'", disse, scherzosamente.
Ci pensai un attimo e poi accettai.
Dopotutto, Harry non era così male.
"Va bene, ma andiamo a piedi".

"Come facevi a sapere dove abito?", chiesi, curiosa, dopo un po' che camminavamo.
"Oh, ehm...non posso dirtelo", rispose, tenendo gli occhi fissi sul marciapiede.
"Perché?".
"Perché dovrei nominare colui-che-non-deve-essere-nominato", rispose, teatralmente, muovendo le dita.
Risi, sorseggiando il caffé.
"Ah, te l'ha detto lui, eh?".
"Già. Ti ricordi qualcosa di ieri sera?", cambiò discorso, osservandomi con la coda dell'occhio.
"Non molto, veramente. Ho in testa immagini offuscate".
Annuì appena, avvicinandosi alle labbra il bicchiere col caffé.
"Sapresti dirmi perché mi hai fatto fermare davanti ad una casa che non era la tua?", riprese, subito dopo, guardandomi.
"Oh, beh, io...ero fatta e...completamente andata, credo", sussurrai, senza accennare minimamente a Zayn.
"Ah, pensavo che conoscessi qualcuno lì...", ribatté, come se la sapesse lunga.
Lo guardai di sbieco, ma non risposi.
Poi, finito il caffé, Harry tirò fuori di tasca un pacchetto di sigarette e me ne porse una, che accettai volentieri.
"Wow, ti fidi, eh? Potrebbe essere piena d'erba", commentò.
"Sì, mi fido. Ho la tendenza a fidarmi delle persone", risposi, portandomela alla bocca.
Lui sorrise e me la accese.
"Fai male. Non è una buona cosa fidarsi. Io, per esempio, non mi fido di nessuno", rispose, accendendo anche la sua.
"Se non ti fidi di nessuno, che senso ha avere degli amici?".
"E chi ti ha detto che io li abbia?", ribatté, facendo una lunga tirata.
"Non ci credo che tu non ne abbia nemmeno uno", dissi, continuando a guardarlo.
Lui alzò le spalle, e picchiettò le dita sulla sigaretta, facendo cadere la cenere.
"Li ho persi tutti", commentò, senza battere ciglio.
"Beh, anche io. Mi sono appena trasferita, ma sto cercando di farmene di nuovi", dissi, soffiando via il fumo.
"Già, fidandoti delle persone sbagliate. Mi ricordi una persona, sai?".
"Chi?", chiesi, curiosa.
"Una persona", rimase vago e mi sorrise.
Annuii, capendo che non ne voleva parlare.
"Almeno era bella?", chiesi, ridendo.
"Non intendo nell'aspetto, ma nel carattere", rispose.
"Ah, allora era simpatica?".
"Non era soltanto simpatica. Aveva carattere: era dolce, gentile e carina con tutti, ma se qualcuno la faceva arrabbiare allora poteva considerarsi morto", ridacchiò, guardando in alto.
"Era la tua ragazza?", chiesi, sorridendo.
"No, la ragazza del mio migliore amico", rispose, ricambiando il sorriso.
"E adesso lei dov'è?", continuai.
"Lontano. Molto lontano".
"E il tuo migliore amico?".
Mi guardò e cambiò espressione. Notai che combatteva per rimanere sorridente, ma che non riusciva a non far trapelare un leggero velo di tristezza.
"Anche lui", rispose, aumentando il passo.
Abbassai un attimo la testa e poi lo raggiunsi.
"Mi dispiace...", sussurrai tristemente.
"Oh, non preoccuparti. Io sto alla grande", rispose, riprendendo a sorridere.
Pensai che fosse davvero un bravo attore.

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