Capitolo uno, Roy

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Oggi è uno di quei giorni che odio.

Se quella donna, che non considero più mia madre, non se ne fosse andata, probabilmente adesso non mi troverei in questa situazione. Ma purtroppo ha deciso di essere egoista e lasciarmi nella merda fino al collo.

Decido che oggi voglio concludere in fretta e levarmi questa rogna di torno, in modo da avere una cosa in meno a cui pensare. Guardo l'orologio e mi accorgo di essere in leggero ritardo e di solito quando faccio ritardo non ne viene fuori nulla di buono, ma mi impongo di rimanere ottimista e sperare che le persone che dovrò incontrare non siano ancora arrivate. Di solito è così.

Questa è gente che si fa aspettare, che ama fare scena per non si sa quale teatro. Quello della vita mi pare troppo scontato, dato che ci rimettono la loro stessa pelle se sono troppo imprudenti. Non avrei mai indirizzato la mia vita verso questa strada, ma non ho altra scelta. Quindi non mi resta che essere prudente più di loro, se possibile. Scavalco la recinsione di ferro con un salto e, una volta atterrato sui piedi, mi porto d'istinto la mano in tasca. Stringo forte la bustina di plastica e sospiro perché c'è ancora.

Una volta ho fatto l'errore di perderla e stava tutto andando a rotoli. Quel piccolo equilibrio che ero riuscito a guadagnarmi era sul bordo di un precipizio. Ma sono riuscito a cavarmela.
Continuo a camminare attraverso questo vicolo stretto e stringo i denti quando vedo in lontananza la V8 Coupè grigia metallizzata.

Loro sono qui.

Bud, quello che comanda tutto, è soprannominato Gamba di ferro perché da piccolo ha dovuto mettersi una protesi alla gamba e ha scelto una gamba fatta interamente di ferro. Girano voci che abbia ucciso più persone lui a forza di ginocchiate che i suoi scagnozzi con qualche arma. I suoi scagnozzi se li porta dietro come cagnolini. Uno alla sua destra e uno alla sua sinistra. Gamba di ferro è vestito completamente di nero. Con una giacca e la camicia dello stesso colore. Anche gli occhiali sono neri e, ora che ci penso, li porta sempre. Non ricordo di aver mai visto i suoi occhi. Guardo i suoi scagnozzi e valuto le loro armi per decidere quale atteggiamento assumere. Quello da duro e strafottente o quello da coniglio e sottomesso. La mia vita è questo. Una danza altalenante tra forza e debolezza. Quello alla sinistra ha sulla mano una cazzottiera e mi guarda torvo, con espressione rabbiosa. Quello di destra all'apparenza non ha nulla, ma di sicuro nasconde qualche coltello o una pistola nelle mutande. Ha il volto impassibile e quando mi avvicino mi scruta dall'alto in basso, come per confermare la sua superiorità. Quando Gamba di ferro si stacca dalla sua auto e incrocia le possenti braccia al petto, decido di voler essere un duro.

«Sei in ritardo» mi ringhia lo scagnozzo di sinistra.

Gamba di ferro gli mette una mano sulla spalla per fargli capire che ci avrebbe pensato da solo, così lui indietreggia di due passi.

«Avevo da fare» rispondo, moderando il tono. Poi mi porto di nuovo la mano nella tasca posteriore dei jeans.

«Non esiste. Hai un impegno con noi e lo devi rispettare, altrimenti lo sai cosa succede se qualcuno mi fa incazzare, vero?» mi ringhia lui, tentando di intimorirmi.

«Lo sto rispettando. Mi pare di essermi presentato» gli faccio notare, fissando i suoi occhi attraverso le lenti scure degli occhiali che indossa.

Certe volte mi domando se la sua non sia solo una facciata. Se in realtà, al di là di quegli occhiali neri, non si celi tutt'altra personalità. Se nell'intimità di casa sua non sia una persona buona, che si occupa di sua moglie e dei suoi figli. Non che me ne importi qualcosa. Sono solo curioso di sapere perché la gente si immischi in questi sporchi affari. Tuttavia ci sono in mezzo anche io, per cui non sono nella posizione per fare la predica a nessuno. Gamba di ferro stringe i denti e io mi preparo mentalmente per sorbirmi la sua sfuriata. Però non dice nulla, è lo scagnozzo di destra a parlare.

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