Capitolo sette, Roy

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Sono finalmente libero. Fa uno strano effetto tornare a vedere il cielo dopo un mese intero in cui me lo sono solo potuto immaginare.
È una di quelle giornate tipicamente estive, con il cielo limpidissimo, senza la minima traccia di una nuvola, e il sole che ti scalda la pelle. Gli alberi del parchetto che stiamo costeggiando io ed Ashlee in macchina, corrono veloci e sembrano scappare lontano, come se avessero paura di me.

Certe volte me lo domando anche io. Se qualcuno abbia paura di me, intendo. O più che paura che provi schifo nei miei confronti, a causa della vita penosa che sto conducendo. Ho ventuno anni e non ho ancora concluso un cazzo nella mia vita. Ed è proprio in questi momenti che mi domando in che modo io possa assicurare un futuro a mio fratello. Non gli permetterò di certo di ripetere i miei stessi errori, per questa ragione mi impegno a fondo per mandarlo a scuola e per insegnargli dei sani principi. Sembra ironico detto da me, che sto cercando un altro spacciatore per procurarmi la roba da vendere.

Rabbrividisco ai miei stessi pensieri.

La mini Cooper di Ashlee all'improvviso si ferma, così distolgo lo sguardo dalla strada e mi volto prima verso di lei e poi verso il parabrezza. Siamo davanti ad una pasticceria. La mia faccia deve sembrare un enorme punto interrogativo, perché Ashlee ad un tratto si mette a ridere.

E giuro che la sua risata mi fa lo stesso effetto della medicina che ho preso fino ad oggi. Riesce a sciogliere quel macigno che sentivo sul petto ed inizio finalmente a rilassarmi.

«Devo ritirare un ordine, ci metterò pochissimo» mi informa e mi sorride per rassicurarmi. Poi esce dalla macchina sbattendo leggermente lo sportello.

La guardo mentre cammina verso l'ingresso della pasticceria con i lunghi capelli biondi che svolazzano ad ogni passo. Poi scompare dietro le tendine rosse dell'entrata. Alzo il volume della radio dato che stanno trasmettendo una canzone orecchiabile, della quale però non ricordo il titolo. Ci mette veramente pochissimo, perché dopo neanche cinque minuti esce spostando le tendine con una mano e tenendo un cartone nell'altra. Entra in macchina e mi poggia il cartone sulle cosce. Subito l'abitacolo si riempie di un invitante profumino di fragole e cioccolato. Il mio stomaco ruggisce in risposta. È un mese che non mangio qualcosa di veramente commestibile, il cibo dell'ospedale faceva schifo.

«Che cos'è?» domando curioso.

Lei fa partire l'auto e abbassa di una tacca il volume della radio prima di rispondermi. «È la torta di compleanno per tuo fratello» dice e mi spiazza totalmente.

Non in negativo, ma in positivo, non mi sarei mai aspettato un tale gesto da parte sua. Sapevo che lei e mio fratello andassero d'accordo, ma non pensavo fino a questo punto. Si vede che mio fratello è migliore di me.

La cosa mi mette di buonumore e per il momento mi dimentico di tutto, della droga, dello spacciatore, del fatto che sono stato quasi ucciso, di come procurare da mangiare a mio fratello. Nulla. Sparisce tutto. Mi sembrano solo ricordi lontani. E mi sento bene, tutto solo grazie a questa ragazza che sta sul sedile accanto al mio. Mi sono domandato per l'intero mese come mai sia stata disponibile con me. A volte mi è sfiorata nella mente anche l'idea di domandarglielo. Ma avevo paura che mi urlasse contro e che se ne andasse, abbandonandomi. Per cui da bravo egoista quale sono, me ne sono stato zitto.

La solitudine fa paura a tutti. Me lo dimostra tutti i giorni mio padre, che si ubriaca per cercare di rimpiazzare con l'alcool quella specie di donna che ci ha abbandonati, per sentirsi meno solo.

«Non avresti dovuto, davvero» le dico stringendo il cartone.

«Tuo fratello mi ha raccontato che l'anno scorso non ha festeggiato il compleanno, per cui mi è sembrata una cosa carina» ammette con il sorriso sulle labbra.

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