Capitolo ventitre, Roy

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Ho già detto quanto la mia vita assomigli ad un gigantesco dèjà-vu?

Ecco.

In questo momento sono a bordo di questa auto che porta il suo odore come un marchio a rivivere le stesse sensazioni della notte precedente. Le stesse paure, le stesse ansie, la stessa disperazione, lo stesso senso di abbandono.

L'unica differenza è che non so da dove iniziare per ritrovare la ragazza che amo più della mia stessa vita. Non ho ancora capito cosa è successo a quella stupida festa. Da quando l'avevo trascinata via dall'aeroporto, rendendomi profondamente ridicolo di fronte a lei, Ashlee mi sembrava più serena. È riuscita anche finalmente a dirmi che mi ama anche lei, esattamente come la amo io, facendomi scoppiare il cuore di gioia. In quel momento avrei giurato di sentirmi in pace con il mondo. Per cui non capisco cosa l'abbia spinta a cambiare idea di nuovo.

Dopo aver remixato qualche canzone alla console di Chase, Eveline mi aveva detto che Ashlee era seduta al bancone del bar a sorseggiare un drink a base di vodka al limone, la sua preferita. Ma appena ero arrivato, lei non c'era. Era sparita. L'ho cercata dappertutto. In bagno, in mezzo alla pista da ballo, fuori dal locale. Ma di lei non c'era nessuna traccia. Senza pensarci due volte, sono salito sulla sua auto e ho iniziato a cercarla per ogni quartiere. Sono andato persino di nuovo al laghetto del parco e, cosa più importante, le ho lasciato un milione di chiamate e messaggi, nei quali la pregavo di farmi sapere almeno che stava bene. Ma per ora non ho ricevuto ancora sue notizie. Non so sinceramente dove andare. È la terza volta che faccio il giro attorno al locale, magari è più vicina di quanto penso, o magari è seduta su qualche panchina a prendere una boccata d'aria e a ripensare a come la sua vita sia cambiata nel giro di ventiquattro ore. Ma non la trovo e io sto per avere un attacco di panico.

Questa ragazza prima o poi mi manderà al manicomio, ma non importa perché per lei sono disposto a giocarmi anche l'ultimo briciolo di sanità mentale che mi rimane.

E darei qualsiasi cosa affinchè la sanità mentale mi assista in questo momento e mi aiuti a fare chiarezza, per suggerirmi un luogo in cui andare a cercarla. Ed evidentemente lo fa, perché alla mia mente arriva un posto, anche se la sola idea che si trovi lì mi fa venire i brividi.

Sono immerso nei miei pensieri, dentro l'auto parcheggiata lungo il marciapiede di un quartiere qualsiasi, quando il mio cellulare prende a squillare. Lo pesco dalla tasca dei jeans e in un nanosecondo ho già risposto alla chiamata, senza nemmeno vedere di chi si tratta.

Ti prego, fa che sia lei...

«Roy...»

Merda.

Appoggio la testa al sedile, chiudo gli occhi e sospiro. Non poteva scegliere momento peggiore per chiamarmi.

«Pronto?»

«Lei sta bene, Roy?» domanda. La preoccupazione si percepisce in modo violento attraverso la sua voce.

«Lei... sì» mento. Mi passo una mano tra i capelli.

Dio, vorrei strapparmeli uno ad uno. Perché deve andare tutto perennemente una merda?

«Voglio vederla, o per lo meno parlare con lei, ti prego» mi implora.

«Non credo sia il caso». Mi porto due dita alla tempia e inizio a massaggiarla. Sono stanchissimo e mi scoppia la testa.

«Già» mormora. «Capisco...»

Silenzio.

Silenzio che dura poco, perché si lascia sfuggire un singhiozzo e in un attimo è in preda ad una crisi di pianto.

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