Capitolo ventinove, Roy

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Mi alzo di malavoglia dal letto e sistemo le coperte. Vorrei rimanere a riposarmi ancora un po' per recuperare il sonno perduto, ma ho veramente bisogno di una doccia.

Prendo dei vestiti e della biancheria pulita e mi dirigo in bagno, azionando il getto dell'acqua per portarlo ad una temperatura tiepida. Nel frattempo mi lavo i denti e mi faccio una passata veloce di barba. Mi rilasso completamente, una volta sotto lo scrosciare della doccia, e penso a cosa succederà una volta che uscirò dal piccolo mondo idillico che mi sono creato, rifugiandomi nella mia camera.

So perfettamente chi c'è dall'altra parte del corridoio.

C'è il demone, il fantasma che ha vorticato la mia mente per anni, portandomi a compiere errori su errori, a dubitare di me stesso, a rischiare il tutto e per tutto, a credere di non farcela.

Ho lottato fino alla stregua delle mie forze, camminando sul filo del rasoio. Bastava un piccolo soffio per farmi crollare. Quel demone mi ha spinto ad urlare a squarciagola dalla frustrazione, a prendere a pugni i muri ferendomi le nocche a sangue. Mi ha fatto provare un costante dolore all'altezza del petto, talmente tanto regolare che ultimamente aveva perso il suo significato.

Era un dolore privo di radici, del quale il mio mostro personale si è nutrito per giorni e giorni, fino a crescere e mutarmi nella persona sbagliata che sono oggi.

Purtroppo, quello stesso demone, è mia madre. La persona che amo più della mia stessa vita, che mi ha messo al mondo e mi ha dimostrato che bisogna combattere, perseverare, cadere, rialzarsi ed infine vincere. Le sconfitte non sono ammesse. Già perché lei ha vinto. Il suo più grande nemico è stato un cancro alle ovaie. Sono orgoglioso di avere una madre così. Ciò nonostante, non riesco a non avercela con lei.

È orribile da dire ma sono incazzato a morte. Al punto di desiderare che sia ancora malata e che non sia tornata come un tornado e aver portato scompiglio nella mia vita e in quella delle persone che sono al mio fianco. Soprattutto la vita di mio fratello, spero solo che non lo sconvolga troppo. È un ragazzino forte e lo proteggerò fino a che non mi resta un briciolo di vita, anche quando sarò un vecchietto decrepito in punto di morte, userò le mie ultime forze rimaste per salvarlo da qualsiasi cosa. Non so ancora quali sono le intenzioni di mia madre e soprattutto cosa comporterà sulla vita di mio padre. Spero che questo suo ritorno faccia bene almeno a lui.

Chiudo la doccia di scatto ed esco, determinato a conoscere il mio immediato futuro. Mi asciugo e mi vesto velocemente, lasciando i capelli ad asciugarsi all'aria, tanto è estate e fa caldo. Torno in camera per recuperare il vassoio vuoto con il quale Ashlee mi ha portato i panini, è da fare santa quella donna, giuro, e mi avvio in cucina.

Cammino a passo incerto nel corridoio, non voglio ammetterlo ma ho paura, non della situazione in generale, ma di me stesso. Ho paura che la mia rabbia non mi farà rispondere delle mie azioni. Ne ho accumulata talmente tanta negli ultimi anni che mi sorprende che ancora io non sia scoppiato come una bomba ad orologeria.

Appena entro li trovo entrambi lì, seduti attorno al tavolo con delle tazze vuote, mio padre è imbarazzato dalla situazione ma, sorprendentemente non è ubriaco. Mi fa uno strano effetto avere di nuovo mia madre nella cucina. Mi sembra di essere tornato indietro nel tempo. Non so perché, ma la mia mente mi catapulta all'età di quattordici anni.

Un forte profumo di cannella arrivò alle mie narici, pizzicandomi il naso. Adoravo la cannella, soprattutto se affiancata dalle mele. Molti dicevano che aveva un sapore amaro, ma non era vero. La confondevano con lo zenzero. Ecco, quello proprio non lo sopportavo. Il mio stomaco brontolò in risposta a quel profumo, costringendomi ad alzarmi dal letto.
Sorrisi ricordandomi che oggi non sarei andato a scuola perché era il compleanno della mamma. Infilai velocemente le ciabatte e corsi in cucina per abbracciarla. Quando entrai in cucina però, il mondo mi crollò addosso.
La mamma stava piangendo.
Non mi aveva ancora notato, perché aveva gli occhi chiusi e si passava una mano all'altezza dello stomaco. Forse non stava bene? Spostai lo sguardo su mio padre, sorprendendomi della sua presenza.
Lui avrebbe dovuto essere in centrale, con addosso la divisa a svolgere il suo lavoro, come mai era qui?
Era successo qualcosa di grave?
In quel momento mio padre si voltò e mi vide. Aveva anche lui gli occhi lucidi. Mi sorrise.
«Roy» mi salutò. «Vieni qui» mi fece cenno con la mano di avvicinarmi.
Io obbedii senza fiatare. Appena mi avvicinai lui mi scompigliò i capelli e mi passò una mano sulle spalle. «Papà, che succede? Come mai non sei a lavoro?» domandai un po' preoccupato dalla sua risposta.
«Oh, mi sono preso una giornata di ferie per festeggiare il compleanno della mamma. Non te ne sei dimenticato, vero?» mi guardò, inclinando la testa di lato.
Scossi la testa. «Certo che no» dissi sicuro. Mi avvicinai a lei e l'abbracciai. «Buon compleanno, mamma»
Lei mi baciò sulla testa, facendomi una carezza guancia. «Grazie, tesoro» sorrise.
Ero felice di averla fatta di nuovo sorridere, però il suo viso macchiato dalle lacrime non mi convinceva proprio per niente. Guardai prima mio padre, che sorrideva con lo sguardo perso nel vuoto, e poi lei.
«Perché stavi piangendo, mamma?» chiesi.
Lei mi fece di nuovo una carezza e poi spostò la sedia più vicina a sè per invitarmi a sedere. «Beh, ecco... io e tuo padre vorremmo dirti una cosa...» parlò, sembrava un po' nervosa.
Annuii e mi sedetti. «Che cosa?» domandai improvvisamente impaziente di sapere cosa dovevano dirmi.
Lei rise di fronte al mio entusiasmo e poi si portò una mano all'altezza della pancia. «Sono incinta» annunciò.
Io sgranai gli occhi e poi la guardai come se all'improvviso gli fosse spuntata un'altra testa. Mia madre era incinta? Si morse il labbro nervosa, forse in attesa di una mia risposta.
«Roy, avrai un fratellino o una sorellina, sei contento?» chiese mio padre, emozionato.
«Davvero?» ero incredulo, ma felice. «Non, mi state prendendo in giro, vero?» sperai di no.
Entrambi scoppiarono a ridere. «Certo che no, tesoro»
Evviva!
Iniziai a battere le mani contento ed emozionato. Avrei avuto finalmente qualcuno con cui giocare, da infastidire e combinare guai. Mio padre si avvicinò e posò un bacio sulla tempia di mia madre. Poi si accovacciò alla mia altezza.
«Cosa vorresti che fosse? Un maschio o una femmina?»
«È indifferente, basta che non mi ruba tutte le caramelle» dissi facendo una smorfia.
Risero di nuovo. Mia madre si asciugò gli angoli degli occhi e si alzò dalla sedia. «Bene» constatò. «Ora vuoi un biscotto alla mela e cannella che ho appena sfornato?» mi chiese, indicandomi il vassoio sul piano cottura che prima non avevo notato.

Già, quel giorno mia madre mi aveva detto di essere incinta di Chris. Ero felice come un fottuto bastardo, non sarei stato più figlio unico, senza sapere che in realtà non lo ero mai stato.

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