Capitolo in terza persona
Quelle poche ore che separavano la notte dalla mattina furono per tutti terribili.
Nelle loro case a Detroit c'erano, Martin, Jay, Ross e Dylan che passarono quelle ore a fissare il soffitto pensando a tutto quello che era successo in quegli anni e pensando a come tutto quello che avevano ottenuto lottando fosse finito.
Poi c'era Maya, che rimase nella casa di Anne, lei passó la nottata sul divano di quella casa, con le lacrime agli occhi e la testa senza pensieri, poteva morire continuava a ripetersi, sempre in quella casa nella stanza al secondo piano, c'era Anne, che sfogliava un vecchio album del suo bambino da piccolo, quei grandi occhi verdi che brillavano sempre, senza paura, così spensierati e quel sorriso che non mancava mai, e non c'era una fota senza la presenza di Kim.Poi, in una delle celle del dipartimento della polizia di Detroit c'era Jack.
Lui, se ne stava contro la umida e fredda parete in pietra, con gli avambracci sulle ginocchia, i polsi ammanettati, i pugni serrati che coloravano le nocche di bianco, la testa china, gli occhi chiusi e le lacrime che rigavano il suo viso.
Jack Collins piange che perdente, si ripeteva sfottendosi.
Come poteva piangere dopo quello che aveva fatto; non poteva, sembrava assurdo, soprattutto per lui.
Aveva ucciso suo padre a sangue freddo e stava per fare la stessa cosa a Kim, sua cugina. Non poteva sentirsi in colpa, le persone come lui erano pazze, senza cuore.
Ma lui piangeva per rabbia, perché non era riuscito nel suo intento e sapeva che aveva perso. Piangeva contro suo padre perché se lui non lo avesse sbattuto fuori casa niente di questo sarebbe successo. Ed era arrabbiato perché non riusciva ad essere felice nonostante suo padre fosse morto.
Quel ragazzo era semplicemente pazzo.
Ed infine in quell'edificio dell'FBI a Detroit c'era altri due ragazzi.
Sebastian, se ne stava in una delle sale, da solo, con una tazza di caffè bollente tra le mani e la mente piena di ricordi, da quando aveva messo il piede per la prima volta in quella scuola e aveva incontrato gli occhi di quella ragazza, a quando l'aveva salvata in quell'edificio abbandonato.
Un piccolo sorriso si formò sulle sue labbra ricordando il giorno che si era presentato a casa sua ma contemporaneamente c'era Matt e cominciarono a litigare.
Quei due si amavano alla follia, pensò.
Poi, in quella stanza al diciannovesimo piano, c'era lui. Seduto sul davanzale vicino all'enorme vetrata, mentre guardava quel cielo non più così tanto scuro e aspettava l'alba che sarebbe dovuta arrivare in meno di due ore.
E pensava, pensava a lei, sempre e solo lei c'era nei suoi pensieri, nelle sue parole, nei suoi ricordi.
Ricordò quel giorno del loro primo incontro, rimase fin da subito colpito dalla grandezza e da quel colore così puro e intenso di quegli occhi blu e di quella delicatezza di quei boccoli biondi che le ricadevano sulle piccole e minute spalle.
Era piccolo ma sentiva che lei era speciale, e aveva ragione.Ricordò ogni singolo minuto che passavano insieme, ogni momento. Lei era come l'ossigeno per lui, era così dolce e bella, che non capiva cosa avesse fatto per meritarla.
Ricordò di come la proteggeva dopo la morte di suo padre, era piccolo ma non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno già da allora; tutti i balli scolastici passati con lei, gli abbracci, le risate, le urla.
Chi li conosceva li scambiava per una piccola coppia di fidanzati, ma loro rispondevano sempre siamo migliori amici, e poi Matt aggiungeva ma lei è mia comunque.
In un qualche modo tutti e due sapevano che c'era di più di una forte amicizia ma non immaginavano di arrivare a dirsi ti amo.

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Forever You
ChickLit"Come ti chiami bambina?" Chiese il piccolo alla piccola bambina che giocava da sola. Lei alzò per poco lo sguardo sulla figura poco più grande di lei e lo riabbassó subito dopo. "K-kim" Rispose lei timida mentre continuava a giocare con le piccole...