Il tempo sembrava passare lento.
Minuti, ore, giorni a pensare solo a lui.
Lui. Ormai non riuscivo più a dire o sentire il suo nome. Sentirlo, era come se un coltello mi trapassasse il cuore centinaia di volte.
Lui che era sparito dalla mia vita lasciandomi con un solco nel petto difficile da guarire.
Era passato un mese da quando mi disse che non poteva funzionare.
Un mese che vivevo in una bolla estranea al mondo.
Aveva anche lasciato casa, viveva nella casa di ritrovo dei ragazzi, era da un mese che vivevo nella sua camera.
I suoi vestiti, le sue lenzuola avevano il suo profumo, ingannavano la mia mente facendole credere che fosse lì, con me.
A scuola, quelle poche volte che mi presentavo, era sempre con Dylan, i suoi amici e con Jessica sulle sue labbra.
Maya mi obbligava a non guardarli ma il dolore mi faceva sentire bene, mi faceva sentire viva.
I suoi occhi verdi, da quando mi aveva lasciato piangente sul suo giardino, non si erano più incrociati con i miei e questo mi faceva ancora più male, era come se si fosse completamente dimenticato di me.
La notte di quelle ultime settimane erano state un inferno.
Lui che se ne andava lo rivivevo in un incubo, mi svegliavo urlando, il respiro affannato e in un lago di sudore e lacrime.
Anne voleva che uscissi con qualcuno oltre che vedere Dylan e Maya a casa, provò a far venire Travis ma ad ogni sua domanda rispondevo con monosillabi. Ormai anche lui ci aveva rinunciato.
Nessuno poteva essere lui. Nessuno."Kim! Devi mangiare qualcosa è da ieri sera che non tocchi cibo. Mangia!" La voce alta e riproverante di Maya squilló in tutta la camera.
"Non ho fame.." Risposi lenta e impassibile guardando qualche secondo il piatto con la pasta.
Non avevo fame. Non avevo energie per fare qualsiasi cosa."Devi mangiare. È da un mese che va avanti così, anche Dylan è preoccupato!" Disse con voce allarmata e esasperata.
E lui? Lui si preoccupava per me?
No. Sicuramente, no."Ehi.." Mormorò dolcemente sedendosi affianco a me sul letto.
La guardai per qualche secondo portando una mano al collo e iniziando a giocare con la mia collanina."Che ne dici se questo weekend partiamo?" Propose con occhi luccicanti e la guardai confusa.
"E dove andiamo?" Chiesi, un largo sorriso si formò sul suo viso.
"Non so..dove ti piacerebbe andare?" Guardai fuori dalla finestra e mi persi per qualche secondo a fissare il movimento lento dei rami degli alberi.
"Los Angeles.." Sussurrai con un piccolo sorriso.
"Fantastico!" Esultó alzandosi eccitata dal letto.
"Prepara le valige.. questa sera si parte!!" Urlò felice uscendo dalla stanza.
"Cos-? Dove vai?!" Alzai la voce preoccupata.
"Le valige!" Urlò di rimando sbattendo la porta d'ingresso.
Ancora sola.
Come sempre.
Forse quel viaggio mi avrebbe liberato per poco la mente.
Forse sarei riuscita per qualche giorno a non pensare a lui.Matt's Pov.
La nicotina presente nel mio sangue rilassava i nervi tesi.
L'aria attorno a me aveva quell'odore acre che bruciava i miei polmoni ad ogni mio respiro e tiro che facevo.
Picchiettai, ormai consumata, la sigaretta, sull'insenatura del portacenere di vetro, togliendo la cenere in eccesso.Era già la terza che finivo nel giro di quasi un'ora, mi aiutava a staccare la spina e non pensare per qualche ora.
Pensavo che mi potesse aiutare a non pensare a lei.
Ma non funzionava.
Mi mancava da morire. Sempre di più.
A scuola la vedevo in lontananza, sempre.
Quelle profonde occhiaie scure che le incorniciavano i suoi stupendi occhi chiari ormai spenti, senza emozioni.
Le sue guance erano ogni giorno sempre più scavate, si notavano molto i suoi zigomi.
Era in quello stato solo per colpa mia.
Avevo sempre detto che nessuno doveva farle del male ed ero stato il primo a rovinarla.
Il dolore nei suoi occhi quando mi vedeva con Jessica mi faceva sentire uno schifo.
Lei pensava che io non la guardassi mai, ma ogni volta che abbassava lo sguardo io lo rialzavo e la osservavo in tutti i suoi movimenti.
Lasciarla, era la cosa più difficile che avessi mai fatto.
Le sue urla mentre mi pregava di rimanere si ripetevano nella mia mente ogni volta che la vedevo.
La prima settimana, durante la notte, andavo sotto la finestra della mia camera, la sentivo urlare e piangere mentre dormiva.
Sentivo la voce sottile di mia madre che la rassicurava come se fosse sua figlia.
Mentre io, con il dolore, la rabbia, l'odio verso me stesso, volevo semplicemente sfondare quella porta per abbracciarla, baciarla e cullarla tra le mie braccia sentendo il suo respiro regolare e caldo che sfiorava la pelle del mio collo.
L'amavo con tutto me stesso. Era la mia piccola.
Ma doveva stare al sicuro. Con me era solo un bersaglio facile per la vita che conducevo.
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Forever You
ChickLit"Come ti chiami bambina?" Chiese il piccolo alla piccola bambina che giocava da sola. Lei alzò per poco lo sguardo sulla figura poco più grande di lei e lo riabbassó subito dopo. "K-kim" Rispose lei timida mentre continuava a giocare con le piccole...