Capitolo: Flashback XIV

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-La prego... La prego mi lasci andare... Devo andare in ospedale... Devo portarglielo...

Il poliziotto mi scruta silenzioso per qualche secondo, le braccia conserte sulla divisa, e gli occhi celesti puntati nei miei. Lentamente si alza e mi dà le spalle, rivolgendosi ai suoi sottoposti.

-Chiudete a chiave questa stanza.

Ordina in tono gelido.
-No, la prego!

Ribatto alzandomi a mia volta, ma finendo subito immobilizzata contro il muro dai poliziotti.
-Lasciatela. Lei viene con me.

Il viaggio in macchina è stata la cosa più rassicurante capitata nelle ultime ore. La vista del sole che tramonta e il leggero velo di brina che ancora ricopre i campi ha un effetto rilassante e stranamente familiare.
-Finita la visita cosa pensi che succederà?

Domanda l'uomo, in un palese tentativo di estorcermi una confessione.
-Non importa cosa succederà... Devo vederla...
-Non posso lasciarti da sola con lei, per quanto ne so potresti essere l'artefice di un duplice omicidio.

Non rispondo, godendomi il paesaggio illuminato di un pallido arancio. La luce riflette come uno specchio attraverso gocce di pioggia sparse quà e là, mentre la volante della polizia si avvicina al parcheggio dell'imponente edificio. All'ingresso dell'ospedale chiedo dell'inserviente che solitamente mi tiene da parte il fiore.
-Il suo turno è finito qualche ora fa...

Annuncia la segretaria, chinandosi ad aprire un cassetto. Mentre abbasso lo sguardo, sconfortata, la donna ricomincia a parlare.
-Però mi ha detto di dare questo a una ragazza che avrebbe chiesto di lei... Sei tu?

Aggiunge, porgendomi un picciolo fiore azzurro al di sopra del bancone. "Sapeva che avrei chiesto di lei...".
È strano come certe persone riescano a sorprenderti, nonostante non sappiano nemmeno chi siate.

Salgo rapidamente le scale scortata dal maresciallo, fino a raggiungere il reparto di rianimazione, un percorso ormai automatico per le mie gambe.

Le due sentinelle salutano il loro superiore, lasciandoci passare senza perquisizione. Col cuore in gola posso finalmente entrare in quella stanza gelida, e aggiungere un altro fiore al solito mazzolino contenuto nel bicchiere da caffè. L'uomo non ci lascia sole neanche per un secondo, ascoltando di nuovo il racconto della mia giornata, e la mia incredulità all'arresto.
-Ho provato l'ebbrezza di avere le manette...!

Riassumo sarcastica, mentre accarezzo delicatamente con un pollice il polso di Shey. Ha la pelle liscia e morbida al tatto, con qualche piccola cicatrice bianca che rivanga vecchi e dolorosi ricordi. Il mio sguardo si perde nel seguire l'intreccio di vene e arterie che si diramano scure sotto la pelle lattea dell'avambraccio.

"Vedrai, andrà tutto bene, piccola mia..."

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