Cap. XXI

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Uriel mi aveva sorretta fino alla grotta dove poi mi ero accasciata in un angolino. Raggomitolata su me stessa avevo iniziato a riflettere.

Due morti in meno di due giorni. Ero un'assassina e avrei dovuto convivere con quella certezza per tutta la vita. Ero stanca e sconvolta. Volevo solo che qualcuno mi dicesse che andava tutto bene... ma io sapevo già la cruda verità... niente andava bene.

Mi stavo trasformando in un mostro, i miei poteri avevano già dimostrato di essere più che incontrollati, ero lontana da casa e i guardiani erano in serio pericolo. Connor era in pericolo!

Non avevo idea di chi fossero le due figure che avevano tentato di rapirmi e non avevo idea del perché. Uriel aveva guardato il cadavere del ragazzo morto e mi aveva detto che possedeva il simbolo della setta di Belzebù, un altro dei quattro caduti più popolari e temuti tra i demoni. Ma questo non portava a niente di concreto.

Uriel aveva insistito che mangiassi qualcosa ma quella sera non avevo appetito e temevo che sforzandomi avrei solo peggiorato le cose.

Il cellulare aveva ormai la batteria quasi a terra. Avevo inviato alla mamma un messaggio nel quale dicevo che la linea di casa era guasta e anche il cellulare e che quindi sarei stata irreperibile per un po' di tempo. Mamma l'aveva presa peggio di quanto credessi e per poco non le era venuta una crisi di panico ma alla fine aveva dovuto accettare l'irrevocabile verità: non ci saremmo sentite per un po'. Ero distrutta all'idea di non avere sue notizie e immaginai che lei doveva sentirsi ancora peggio.

La notte era calata da un pezzo ed era quasi impossibile vedere cosa ci fosse fuori dalla grotta al pallido chiarore della luna.

Io ero seduta davanti al fuoco e mi avvolgevo le gambe con le braccia, raggomitolata, poggiavo il mento sulle ginocchia e osservavo i movimenti cauti e giocosi del fuoco. Non avevo intenzione di muovermi da quella posizione, per quanto ne sapevo qualsiasi cosa toccassi poteva saltare in aria.

Uriel si era allontanato dalla grotta per fare uno dei suoi soliti giri di ricognizione prima del sonno notturno. Aveva ragione: dovevo dimostrami forte e sarei sopravvissuta senza continuare a fare vittime.

Entrò dopo una decina di minuti con la sua solita aria cupa ma non triste. Una specie di mezza malinconia interiore che però non voleva dare a vedere.

Ci scambiammo una veloce occhiata ma io ripresi subito a fissare il fuoco. Non sempre riuscivo a reggere il suo sguardo marmoreo e tenebroso.

La sua felpa mi piombò addosso cogliendomi di sorpresa e quasi non la gettai nel fuoco.

"Questa notte sarà più fredda della precedente, ti conviene coprirti" il suo tono era quasi seccato, il solito simpaticone.

Lui era rimasto con la maglietta nera e i jeans scuri. Se quella notte ci fosse stato il freddo che lui misteriosamente aveva preannunciato, sarebbe morto di ipotermia prima ancora di accorgersene.

"Non ho bisogno della tua compassione... ma grazie lo stesso" non ero stata aggressiva né esageratamente scortese, avevo sicuramente lasciato trasparire tutta la mia stanchezza.

E poi non avevo bisogno della sua carità, potevo cavarmela benissimo da sola! Ero disperatamente confusa e mi sentivo vergognosamente in colpa ma me l'aveva detto lui di fare la dura e questo, al momento, era il mio nuovo stile di vita.

"Non è pietà la mia ma gentilezza e comunque poi non dire che non te l'avevo detto" disse lui avvicinandosi al fuoco e lasciando cadere la felpa a terra, poco distante da me.

Avevo freddo, parecchio, ma non mi sarei mai abbassata a tanto.

Lui si sedette dall'altro lato del fuoco con le spalle al tronco di un albero e la testa leggermente inclinata verso dietro affinché poggiasse anch'essa sull'albero. Poi chiuse gli occhi e tra noi calò il silenzio, di nuovo.

The Accursed- Life After LifeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora